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Il caso della Piana di Sant'Eufemia: La cementificazione selvaggia
Scritto da Redazione Pubblicato in Giovanni Iuffrida© RIPRODUZIONE RISERVATA
Di Giovanni Iuffrida
Il dilemma lavoro/ambiente, come insegna il caso Ilva di Taranto, è un dramma sociale che vede contrapposte le ragioni del lavoro, cioè il legittimo interesse individuale, e le ragioni dell'ambiente (l'interesse generale). In questo contrasto stanno una a fianco all'altra due classi: operai e padroni in difesa della fabbrica. Dall'altro lato si collocano le ragioni della difesa dell'ambiente che dovrebbero costituire il nuovo orizzonte di rappresentanza generale, la nuova universalità di una politica progressista.
Nel secolo scorso, quello della classe operaia che determinava la forza della sinistra, la questione ambientale non superava i muri della fabbrica in stretta connessione con gli spazi di lavoro (poi inquadrata nel d. lgs 626/1994 e s.m.i. in attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 97/42/CEE e 1999/38/CE) con specifico riferimento al miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori (durante le attività lavorative, per intenderci). In questa visione limitativa del problema, il tema della pianificazione del territorio era ovviamente visto soprattutto in rapporto allo sviluppo economico, al tornaconto immediato, con scarsa attenzione per il paesaggio e la sua concreta vitale poliedricità. Quest'ultimo con tutte le sue valenze visibili e quelle invisibili, fatte di una prospettiva in cui l'interesse generale assume invece un ruolo reale, era inquadrato come un semplice scenario, uno sfondo in cui l'uomo si muove come su un anonimo palcoscenico. Il paesaggio nella sua valenza più ampia, invece, rappresenta il futuro possibile, in cui si incontrano le ragioni dell'economia, della tutela, della conservazione e della valorizzazione ma anche della salute della generalità della popolazione. Rispetto a questi aspetti, è stata ed è grande la responsabilità della sinistra: la teoria del valore del lavoro su cui si fonda l'interpretazione marxista del capitale ha tolto ogni ruolo alla natura nel processo di produzione della ricchezza.
A livello locale, il prezzo operaista è stato pagato a caro prezzo dal territorio (come, ad esempio, con la devastazione della Marina di Maida dall'insediamento ex Sir), tanto che in questa fase di esaurimento del lavoro, soprattutto a causa dell'automazione, la “questione occupazionale” stride con la questione ambientale, aggravando le condizioni generali del territorio, del paesaggio in cui si colloca l'interesse di tutti (il cosiddetto bene comune, come tutti i politici, nessuno escluso, amano declinare il vuoto di idee).
Dove sono stati i vantaggi economici, occupazionali e ambientali dell'area ex Sir?
Se si fosse analizzato l'habitat dell'ambiente della Piana, in tutte le sue sfaccettature, dalle valenze geopedologiche a quelle naturalistiche probabilmente avremmo avuto la possibilità di poter godere ancora oggi delle qualità paesaggistiche restituite negli anni Trenta del secolo scorso con le operazioni di bonifica integrale e, di conseguenza, del turismo balneare di cui molti parlano, senza avere però l'esatta cognizione di ciò che si dice (fatti salvi gli affari). Per avere un quadro completo degli aspetti di dettaglio basterebbe fare riferimento alle numerose pubblicazioni sull'argomento che offrono ampie informazioni sulle attuali qualità dell'habitat specifico. Nella fase attuale si registra peraltro un paradosso che evidenzia anche tutti gli aspetti negativi del federalismo: un centro depotenziato che ha demandato agli enti locali il potere di governo del territorio, con gravi conseguenze sul suo assetto e sulla sua tutela. Il federalismo sta poi facendo il resto: la distruzione che lo Stato ha già compiuto verrà completata dalla babele delle competenze locali, in cui la regione e gli altri enti sub-locali, governati da personaggi mediocri, se ne infischiano del paesaggio, inteso anche nella sua pura valenza economica. Il linguaggio usato evidenzia l'approccio al tema: il termine territorio trova più facile spazio nella mediocrità della politica locale perché a differenza del termine paesaggio, che implica anche una sua visione naturalistico-estetica, fa più facilmente pensare a utilizzazioni più spendibili sul piano elettorale.
Il paradosso è che è il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali a dire, in un recentissimo rapporto dal titolo Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione, che l’Italia a partire dagli anni Settanta del secolo scorso ha perso terreni agricoli per una superficie complessiva pari a tre regioni messe insieme: Liguria, Lombardia ed Emilia Romagna. Un dato non di poco conto della situazione complessiva dell’uso del suolo a causa di due fenomeni concorrenti: l’abbandono dei terreni da parte degli agricoltori e l’avanzamento delle aree edificate. Due fenomeni, questi, che però non dicono tutto sulla reale condizione delle aree agricole. Per quanto attiene il cosiddetto avanzamento delle aree edificate, il fenomeno è connesso alle politiche urbanistiche ed edilizie degli enti locali (Regioni, Province e Comuni) che riguardano soprattutto le aree più fertili ed è quello che desta maggiori preoccupazioni. Si può ben comprendere, quindi, quale possa essere il motivo della preoccupazione: “la cementificazione non solo insidia l’organizzazione del territorio, del paesaggio e degli ecosistemi in maniera irreversibile ma erode anche la sicurezza alimentare sottraendo all’agricoltura i terreni maggiormente produttivi” con notevoli riflessi sul comparto agricolo.
Secondo i dati ufficiali, ogni giorno si cementificano 100 ettari di suolo di contro a un dato altrettanto allarmante: dal 1950 ad oggi la popolazione è cresciuta del 28%, la cementificazione del 166%. Un dato abbastanza chiaro sulla tendenza a considerare il terreno agricolo della frange urbane (pianeggianti) molto redditizio grazie anche alla tendenza all’infrastrutturazione da parte delle pubbliche amministrazioni con strumenti urbanistici permissivi, nella migliore delle ipotesi per fini elettorali. Diverso è il fenomeno dell’abbandono che riguarda soprattutto i terreni periferici, poco redditizi e a bassa infrastrutturazione, le cui cause sono legate soprattutto alla mancato ricambio generazionale e ad una agricoltura poco redditizia. Qual è il risultato a livello locale delle aree inedificabili per eccellenza? Tutta la costa lametina porta i segni della devastazione in ogni suo tratto. Se si procede da nord verso sud, si ha la possibilità di registrare l'involuzione dell'ambiente rispetto alle condizioni “originarie”, cioè quelle restituite dal fascismo con la bonifica integrale. Località Marinella è caratterizzata dalla presenza assai indicativa del “Lido dei finanzieri”, un bell'esempio di opera stabile in contrasto con ogni ragione normativa e del buon senso, dove l'unica cosa di facilmente amovibile è l'arenile, che con l'azione del vento cambia fisionomia a dispetto delle opere di cemento armato. Più in basso, la foce del Bagni la cui denominazione fa pensare a Terina, alle antiche acque sulfuree delle Terme Caronte e ad acque balneabili del litorale. Invece, anche per la stagione balneare 2012 l'ordinanza n. 121 certifica, come il rintocco a morte delle campane del ddg n. 7195 del 22.5.2012 emesso dal dirigente generale del Dipartimento Ambiente della Regione Calabria, il divieto permanente di balneazione di un tratto dello “specchio d'acqua” – così si legge nel testo – di 400 metri. Poi, proseguendo lungo l'arenile, si trova località Ginepri (senza ginepri e con una fascia frangivento spelacchiata) con qualche ombrellone che dà colore a un arenile dove la sabbia è sommersa da bottiglie di plastica, contenitori di polistirolo e rifiuti di vario genere (umano).
Poi, l'incontro fatidico con il fiume Amato con i suoi 400 metri di dichiarata non balneabilità e a seguire il relitto marino del pontile innestato nel più bell'esempio possibile di area industriale (dove l'unica cosa che aumenta è il numero dei disoccupati), ricettacolo delle industrie più inquinanti e sede di piattaforme ecologiche e depurative (in sostanza di impianti di trattamento e riciclo di rifiuti). In questo contesto nascono intelligenti ipotesi di porti turistici con tanto di resort e villaggi di vario genere, (naturalmente) ecocompatibili, con industrie in dismissione, scarichi fognari e industriali. Per finire, il torrente Turrina, che forse è la lontana eco dell'antica “ad Turres”, con i suoi 800 metri di non balneabilità dalle cui acque emerge in tutta la sua potenza e straordinaria bellezza distruttiva il pontile realizzato dalla Micoperi, morto prima di nascere. In questo arenile di relitti della programmazione territoriale, nuovi scenari di sviluppo attendono altre distruzioni. Ma c'è un elemento fondamentale di distinzione: se altrove è stato l'abusivismo edilizio privato a devastare le coste, il tratto di costa lametino si distingue per essere stato devastato soprattutto dall'instancabile iniziativa pubblica (Lido dei finanzieri, inquinamento dei corsi d'acqua, area industriale, pontile, ecc.). Antonio Paolucci scrive che lo scempio del paesaggio italiano è il risultato della pessima qualità delle classi politiche locali e della loro crescente disponibilità a pure logiche di consenso elettorale. Sarà vero?