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Se si fa un rapido excursus sulle pratiche urbanistiche locali emerge la decisa involuzione che il territorio ha subito nel tempo soprattutto sul piano delle funzioni e della forma, ovvero sulla qualità del paesaggio. La città presenta una idiosincrasia ormai cronica per l'organicità del suo tessuto, un vuoto assoluto di idee, se si esclude il periodo fascista che ha importato negli anni Trenta il primo modello di piano strategico.
Più di un secolo prima Ermenegildo Sintes – di scuola vanvitelliana – ha progettato ardite soluzioni idrauliche per la città, poi Antonio Melograni – ingegnere di formazione napoletana che ha lavorato in tutta la Calabria soprattutto nei primi decenni dell'ottocento – ha elaborato il primo progetto urbanistico per la sistemazione di corso Numistrano. I successivi interventi di Perfetto Venuti e dell'architetto Candela hanno consegnato l'attuale immagine dell'infrastruttura viaria più bella della città. Un progetto unitario che non ha insegnato molto, a giudicare dagli interventi realizzati fino ad oggi. Soltanto viale Stazione si colloca in naturale continuità, pur seguendo stilemi diversi e richiamandosi (con le dovute proporzioni della sintassi urbanistico-architettonica) agli esempi parigini della seconda metà del XIX secolo.
I successivi piani d'ampliamento a cavallo tra ottocento e novecento, elaborati dall'ingegneria municipale locale (da Ercole Migliavacca al potentino Vincenzo De Marco e, per finire, a Girolamo Bracale) a buon diritto rientravano nell'alveo delle attività più determinanti per la formazione della disciplina urbanistica in Italia. Poco più tardi, assai significativi sono stati i contribuiti urbanistici di Aldo della Rocca, Plinio Marconi, Fausto Natoli (autore di importanti progetti nelle colonie italiane), Bruno Zevi, Lucio Barbera, Filippo Ciccone e Tommaso Giura Longo (a quest'ultimo – come è noto – si deve l'importante lavoro di recupero dei Sassi di Matera, designata Capitale Europea della Cultura per il 2019). Tutte queste personalità hanno rappresentato, nei poliedrici ambiti di attività, una parte importante della cultura urbanistica o architettonica in Italia. Con un dato connotativo comune: quasi tutti sono stati respinti o contestati da Lamezia ad esclusione di Fausto Natoli che si era fermato, però, al lavoro preparatorio (il Programma di fabbricazione) del mai avviato Piano regolatore generale per la “città nuova” Lamezia.
In seguito alle successive vicende interne, di scarso rilievo per gli almanacchi (ad eccezione della partecipazione al primo Concorso nazionale di urbanistica partecipata del 1996, che ha avviato la stagione dei parchi urbani nella città), si sviluppano ritardi culturali assai significativi. Per semplificazione, si può dire che dal 20 maggio 1997 ha inizio il progressivo declino della città collocata nel bel mezzo del lungo autunno di due scioglimenti del Consiglio comunale (ottobre 1991 e novembre 2002). Il vuoto di idee e di autorevolezza che circola dal 1997 per le strade, le rughe e i vichi più nascosti, ha dato inizio alla lunga parabola discendente che ha condotto Lamezia a non essere più il centro di gravitazione del Circondario, svuotandosi progressivamente di polarità, di funzioni e di rappresentanza politica in grado di innescare processi di qualità. La misura più concreta è data dal gelido tempo urbanistico che fa in città, in questo caldo autunno in cui il dibattito più elevato è ridotto ai contrasti sul numero delle foglie cadenti.