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Dibattito nel mondo del vino: Quel Genius Loci somiglia al terroir
Pubblicato in Gianfranco Manfredi© RIPRODUZIONE RISERVATA
DI GIANFRANCO MANFREDI
Sembra incredibile, ma negli ultimi tempi circola nel mondo del vino il nome e il saggio di uno studioso lametino che nella sua opera non parla di grappoli né di vitigni e tantomeno di calici, colori, profumi e persistenza del nettare di bacco. Svelo subito l’arcano e vi dico che si tratta di Francesco Bevilacqua e del suo saggio “Genius Loci, il dio dei luoghi perduti” edito l’anno scorso da Rubbettino. Ebbene, le considerazioni e le riflessioni di Francesco Bevilacqua stanno facendo discutere opinionisti e blogger, sommelier e commentatori di enologia.
La circostanza è stupefacente, perché Bevilacqua nel suo libro non pronuncia neppure una volta la parola vino e non accenna minimamente all’enologia. [C’è anche un’altra coincidenza singolarissima, a dire il vero, perché Bevilacqua (nomina sunt omina, o, se volete, al singolare nomen omen, ovvero “il nome è un presagio”, “un destino”) è quasi completamente astemio (ma questa – direbbe qualcuno – è tutta un’altra storia di cui magari parleremo un’altra volta…).]
Dico subito intanto, a scanso di equivoci, che il saggio Genius loci di Francesco Bevilacqua non solo è un libro godibilissimo, che affronta con serietà e rigore il significato e le origini di questa strana e affascinante locuzione, ma è anche occasione di un approfondimento sull’anima dei luoghi e sui personaggi – reali, immaginari, letterari – che la sanno cogliere. Aggiungo che le riflessioni di Francesco Bevilacqua sul tema diventano spesso considerazioni filosofiche, e non raramente sfiorano la poesia.
Sembra strano, perciò, che chi si occupa di vini discuta di questo libro. A ben riflettere, però, poi così strano non è…
Prendiamo, ad esempio, Angelo Peretti, che nel suo blog “La stanza dell’angelo” scrive:
“Questo è un librino che tutti coloro che fanno vino - e se nessuno se ne ha a male, anche quelli che ne scrivono e ne bevono, ma soprattutto, insisto, quelli che lo fanno - dovrebbero leggere.”
“Genius Loci – spiega - è una locuzione usata dagli architetti e dai paesaggisti… Ma credo sarebbe interessante trasferirla al mondo del vino, come evoluzione del concetto francese di terroir. Quella del terroir … è un'idea che fonde in un unicum inscindibile elementi naturalistici, come la terra, la vigna, il clima, con aspetti antropologici, come la storia e il sentire di una comunità, oppure lo stesso orgoglio del produttore, il suo sentimento. Il concetto di Genius Loci va più in là.”
Ecco, ci siamo. Il nesso terroir-Genius Loci si delinea e, in qualche modo, è il nostro Bevilacqua a indicarlo. Per gli antichi romani, il Genius Loci identificava la divinità dei luoghi, le ninfe, o gli elfi, se vogliamo, che abitavano i luoghi d’acque e di boschi. Avevano, gli antichi, un'idea sacra dei luoghi, una concezione che come tale investiva ogni aspetto del rapporto fra l'uomo e la terra. In proposito, osserva Angelo Peretti “Oggi siamo nell'epoca della desacralizzazione, e da qui nasce l'aggressione al territorio, la violenza dei luoghi. Che si trasfonde, dico io, anche ai vini, che dai luoghi, ineluttabilmente, provengono: vini che troppo spesso non hanno più anima, ed è ovvio che sia così, se non c'è rispetto dell'anima stessa dei luoghi.”
Attenzione, però: la sacralità dei luoghi non deve essere intesa in senso strettamente religioso. “Anche se è oggettivamente arduo – scrive Peretti - attribuire una visione laica ad un concetto che nasce nell'ambito del sacro. Ma, come dice Bevilacqua, il dare un significato laico all'idea di Genius Loci ‘non implica negare nel contempo l'idea della sacralità dei luoghi, posto che il contrario di laicità non è sacralità ma confessionalità. Ma dov’è che si legano e s’interconnettono il Genius Loci e il vino? La risposta non può che trovarsi nel concetto di paesaggio. Scrive in proposito Bevilacqua: "Abbiamo già visto come il concetto di paesaggio - che qui useremo come sinonimo di luogo - non può avere un mero significato spaziale. Un paesaggio, un luogo, sono il coacervo di più elementi materiali ed immateriali: uno spazio fisico e geografico omogeneo (una valle, una montagna, un monumento o un insieme di monumenti di roccia, una cascata, un bosco, una spiaggia, una scogliera, un borgo, ecc); il suo contenuto ecologico (piante, animali, ecc); l'addensarsi in esso di una storia di natura e cultura scandita da segni impressi nei secoli dai fenomeni naturali e dagli eventi umani; un immaginario collettivo che di quel luogo si è prodotto; infine la percezione sensoriale dell'osservatore che in quello specifico momento lo guarda, lo visita, lo attraversa".
Ecco, Angelo Peretti definisce questa di Bevilacqua “ una descrizione perfetta non solo del paesaggio, ma anche di quello che i francesi chiamano terroir, ed anzi, lo supera, proponendo l'applicazione del sacrale concetto del Genius Loci”. Conclude il blogger: “Ed è quanto vorrei trovare nel mio bicchiere quando stappo una bottiglia che sia figlia di un luogo e di chi è parte del luogo. Vorrei trovarci dentro la sacralità del luogo e della gente di quel luogo. Perché la vigna è un segno impresso in un paesaggio. E il vino ne dovrebbe essere sintesi sensoriale, attraverso la quale chi ne beve ha percezione dell'anima del luogo - naturale ed umano - che quel vino ha generato.” Come concludere questa rubrica, stavolta particolarmente ricca di riferimenti colti? Non mi resta che prendere in prestito un brano del commentario di Servio all’Eneide (3,95): “ nullus locus sine Genio” (nessun luogo è senza un Genio).
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