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La dominazione normanna causò profondi mutamenti nella realtà linguistica sia parlata che scritta della Calabria, dove, al tempo della conquista, si parlava tanto il greco quanto il latino, a seconda degli insediamenti del suo territorio e delle origini etniche degli abitanti; gli studiosi hanno ampiamente discusso la questione se il greco parlato e scritto nella regione risalisse al periodo magnogreco o si fosse affermato in seguito al dominio bizantino; comunque al momento della conquista normanna vi si parlava sia il greco sia il latino; c’è da segnalare che alcuni studiosi hanno sostenuto, addirittura, la tesi di una rilatinizzazione successiva alla conquista normanna, quasi che il latino fosse scomparso durante la dominazione bizantina. La tesi più accettata punta su:“ una secolare convivenza del sistema greco con quello romanzo" (Franco Fanciullo, Latinità e Grecità in Calabria, in ‘Storia della Calabria Antica- Età Italica e Romana’, Gangemi, Roma- Reggio Cal., 2001, p. 695).
Il latino, in ogni modo, con l’arrivo dei Normanni si diffuse sempre di più in tutto il territorio regionale relegando, con passare del tempo, l’uso della lingua greca ad alcune aree, per lo più collinari e montane, nella provincia di Reggio Calabria; tale fenomeno si sviluppò in modo graduale e con modalità differenziate nelle diverse località calabresi. Per meglio esplicitare il significato di tale mutamento linguistico bisogna considera che l’uso della lingua rappresenta uno degli elementi costitutivi di un’etnia, per come viene esplicitato nel brano seguente: "Un <<popolo>> (e usiamo questo termine sottolineando che la biologia non entra assolutamente nella costituzione di un’etnia ) si definisce in base a tre elementi: diritto, religione e lingua ” (Jean-Marie Martin, La Vita Quotidiana nell’Italia Meridionale al tempo dei Normanni, Rizzoli, Milano, 1997, p.100 ). Nel presente scritto si cercherà di delineare la problematica inerente alla crescente diffusione del latino e alla conseguente marginalità dell’uso del greco in Calabria in conseguenza della cacciata dei Bizantini dalla regione da parte dei Normanni nella seconda metà dell’XI secolo. Lo stretto rapporto che si venne a creare tra potere politico- amministrativo normanno e graduale sostituzione del greco con il latino viene chiaramente evidenziato nel testo successivo: “Nel 1059-1060, con la cacciata definitiva dei Bizantini dal territorio, s’istaurò la dominazione dei Normanni di matrice culturale occidentale e latina [ … ] Con i Normanni il latino assume definitivamente il ruolo di strumento linguistico principale al servizio del potere e della cultura dominante. Tale processo di latinizzazione fu facilitato dalla sopravvivenza di una tradizione romano-latina sia tra personalità di elevata cultura, come il già ricordato Nicola, arcivescovo di Reggio Calabria, sia tra altri ceti sociali che adoperavano un volgare greco-latino ben documentato a livello linguistico. Alla riaffermazione politica seguì anche l’uso sempre più frequente del latino in campo amministrativo e documentario. Un campione statistico elaborato da André Guillou sul fondo Aldobrandini, nel quale compaiono insieme documenti greci e documenti latini di diversi insediamenti ecclesiastici calabresi, evidenzia questa tendenza. Gli atti greci che sino al 1071 figurano nella percentuale del 57%, diminuiscono tra il 1071 e il 1196 al 43,65%, e ancora tra il 1196 e la fine del XIII secolo all’8,6%; a questo drastico calo corrisponde il rilevante aumento degli atti latini, i quali al 1071 costituiscono il 42,9”, tra il 1071 e il 1196 diventano il 56,35 %, e tra il 1196 e la fine del sec. XIII crescono decisamente al 91,4% ”. (Antonio Maria Adorisio, Produzione Libraria e Biblioteche, in ‘STORIA DELLA CALABRIA MEDIEVALE CULTURE ARTI TECNICHE’, Gangemi, Roma-Reggio Cal., 1999, pp. 124-126).
Il greco era particolarmente diffuso nella Calabria centro- meridionale, per come viene evidenziato nel passo seguente: “… Sono documenti redatti nell’undicesimo, dodicesimo e tredicesimo secolo. Limitandoci agli atti calabresi possiamo constatare che fra 165 atti che si possono localizzare in Calabria 114, cioè quasi il 70 per cento, appartengono alla C a l a b r i a m e r i d i o n a l e, a sud della linea Nicastro – Catanzaro- Crotone. Come luoghi di provenienza di tali documenti figurano principalmente i seguenti comuni: Nicotera ( 17 volte) , Catanzaro (13, Squillace (11) , Briatico ( 10 ) , Crotone (9 ), Stilo ( 9 ), Badolato ( 7 ), Gerace (6 ) ecc. Se poniamo mente al fatto che tutto il territorio a nord dell’istmo di Catanzaro con gli importanti centri di Cosenza e Rogliano non è rappresentato affatto nei documenti greci, dovremo riconoscere che la distribuzione di tali documenti non può essere determinata dall’accidentalità della tradizione. Saremo piuttosto indotti ad ammettere che ancora in pieno secolo XIII la lingua dominante in gran parte di questa Calabria a sud della linea Nicastro –Catanzaro dovesse essere la greca. È importante ancora il valore cronologico di questi diplomi: il 95% di essi, si riferisce al periodo post-bizantino, arrivando fino al 1303. Vuol dire che questi atti non dipendono da una lingua ufficiale e obbligatoria, prescritta dalle amministrazioni bizantine, ma essi rispecchiano una popolazione per cui il greco doveva essere la lingua quotidiana e popolare (Gerhard Rohlfs, Scavi linguistici nella Magna Grecia, Congedo Editore, Galatina, 1974, pp.24-25). Lo stesso studioso ha osservato che nella Calabria meridionale ancora qualche traccia dell’influenza del greco nel dialetto si può constatare nell’uso del passato remoto al posto del passato prossimo usato nel resto della regione: “Ma oggi il contrasto più forte tra le due Calabrie si nota, come già dissi, nel dualismo e nello antagonismo dei dialetti. Da Nicastro a Tiriolo in giù predomina quello stranissimo abuso del passato remoto invece del passato prossimo: comu mangiasti?, comu durmisti?, stamatina chiovìu, ora rrivai ‘sono arrivato,’ che dicìstivu?, capiscìstivu, stasira quanti pisci pigghiastivu? […] perfetta imitazione dell’uso greco volgare (greco moderno ) , il quale in questi casi non usa il passato prossimo, cioè passato composto, ma usa l’antico aoristo, cioè passato semplice, come già si osserva nel passato greco di Bova: po èfaje ‘ come mangiasti’? = ‘come hai mangiato?’, ti ìpete ‘che cosa avete detto?’, 'ettepurrò èvrezze ‘ stamane ha piovuto’, arte èstrazze ‘ ora ha lampeggiato’, ti ìvrete = cal. che trovastivu?, arte tin ivra = cal. ora la vitti, jati den ìrtete = cal. pirchì non vinistivu?, ti ecàmete = cal. cal.chi facìstivu? (Gerhard Rohlfs, Calabria e Salento - Saggi di Storia linguistica- Studi e Ricerche, Longo Editore, Ravenna, 1980, p. 36).
Da quanto innanzi riportato si può inferire che la dominazione normanna determinò la diffusione del latino nella regione, ma il greco continuò ancora per qualche secolo ad essere la lingua parlata e scritta a livello popolare, poi gradualmente si restrinse in aree sempre più limitate nella zona aspromontana, principalmente nell’ambiente degli agricoltori e dei pastori. Oggi è parlato solo in alcune località nella provincia di Reggio Calabria. Gli esempi del Rohlfs stanno a dimostrare che non solo nelle aree grecaniche c’è una presenza del greco a livello dialettale, ma anche in alcuni dialetti della Calabria meridionale persiste un’eredità della lingua greca come l’uso del passato remoto al posto del passato prossimo usato comunemente, invece, nel dialetto delle zone della regione dove era stato più diffuso il latino; concludendo sul punto si può constare che la dominazione normanna con tempo, di fatti, pose fine, quasi del tutto, all’uso del greco in una regione dove era stato parlato e scritto per secoli; ma, quasi come la regola del contrappasso dantesco, a tale proposito va ricordato che lo studio del greco cominciò in Italia grazie a due dotti calabresi: Barlaam monaco e vescovo di Gerace, amico del Petrarca, e del suo scolaro Leonzio Pilato, che tenne, per tre anni: 1360-1363, le prime lezioni di greco nello Studio di Firenze e, fra quanti lo seguivano, c’era anche il suo amico Boccaccio. L’importanza storica e culturale di tale evento è stata bene evidenziata dalla seguente concisa considerazione: “… e due secoli dopo Baarlam da Seminara e Leonzio Pilato, che rivelarono Platone ed Omero al Petrarca e al Boccaccio, testimoniavano, alle soglie dell’Umanesimo, la singolare vitalità dell’ellenismo in terra di Calabria” ( Giovanni Pugliese Carratelli, La tradizione greca in Calabria, in ‘ Il Ponte – Anno VI- N.9 -10- Settembre- Ottobre 1950’, La Nuova Italia, Firenze, p. 1028 – Reprint a cura di Gianfranco Manfredi e Pantaleone Sergi-Editoriale BIOS, Cosenza, 1994). Si è trattato di un bello e fruttuoso passaggio di testimone dalla Calabria all’intera Nazione: da allora in poi il greco è stato studiato in Italia ed in altri Paesi aprendo orizzonti nuovi alla cultura occidentale per una migliore conoscenza del proprio passato e di se stessa.