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Sono economicamente interdipendenti e, di conseguenza, tendono a crescere (e ad arretrare) insieme. Si pensa, invece, che gli andamenti economici del Sud e del Nord dipendano da variabili specifiche, interne alle due aree. E’ questa la tesi sostenuta da Vittorio Daniele, dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, e da Carmelo Petraglia, dell’Università della Basilicata.
Nell’ultimo quindicennio, il Paese, nel suo complesso, ha perso terreno. Più di altri, ha subito – hanno scritto i due docenti - l’impatto dell’integrazione europea e della globalizzazione. Alle imprese del Nord sono venute a mancare le protezioni del passato: il mercato interno meridionale e le svalutazioni competitive. Anche la carenza d’investimenti in ricerca e sviluppo ha contribuito. Il Sud ha subito pesanti contraccolpi: per colpe proprie (chi lo nega!), ma anche a causa di vincoli esterni difficilmente rimovibili senza appropriate politiche nazionali.
Invece di riconoscere la reciproca dipendenza tra Nord e Sud, si è affermata, negli anni del declino italiano, l’idea che i flussi di spesa pubblica a favore delle regioni meridionali fossero gli unici trasferimenti di risorse. Si è, così, offerta una visione distorta e superficiale. I flussi vanno in entrambe le direzioni: il Mezzogiorno è un primario mercato di sbocco dell’industria settentrionale; esistono consolidati rapporti tra imprese delle due aree; il risparmio meridionale è, da decenni, largamente impiegato per finanziare investimenti meno rischiosi e più redditizi nel Centro-Nord; l’emigrazione di giovani meridionali con elevata qualificazione accresce il capitale umano delle regioni settentrionali.
La tendenza ad attribuire all’esterno responsabilità e insuccessi non riguarda una parte sola del Paese: è un vizio nazionale. Così come sono, purtroppo, comuni alcuni mali: la “spettacolare evasione fiscale”, il clientelismo, la corruzione, il ritardo di modernizzazione, il basso livello d’istruzione, la tendenza a privilegiare la spesa pubblica corrente a discapito degli investimenti. Con ciò non si vogliono affatto negare le responsabilità della società e delle classi dirigenti meridionali. Ma il problema della bassa crescita riguarda l’Italia nel suo complesso e, perciò, richiede incisive politiche economiche nazionali. Ciò che – concludono i due – "si dovrebbe, a nostro avviso, evitare è una lettura eccessivamente semplificatrice della realtà, magari basata su una parziale contabilità del dare e dell’avere tra territori’’.