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Perché la crescita dell’Italia si decide nel Mezzogiorno
Scritto da Redazione Pubblicato in Filippo Veltri© RIPRODUZIONE RISERVATA
Di Filippo Veltri
Questo titolo può sembrare fuori tempo ora che i nostri occhi sono portati all’Europa e ora che del Sud non parla piu’ nessuno, senno’ per dirne male. Ma l’Europa, specie nel brevissimo tempo, è un elemento decisivo per il nostro Paese anche se dietro c’è un rischio di deresponsabilizzazione della classe politica nostrana. Ne parla Carlo Trigilia, professore di Sociologia economica dell’Università di Firenze,in ‘ Non c’è Nord senza Sud’, recentemente edito da Il Mulino. Che l’Europa riesca o meno a giocare un ruolo attivo nella crisi in atto, dice Trigilia, il nostro Paese «deve mettere ordine in casa propria», sapendo che non ci sarà più spazio per l’assistenzialismo né per la rendita politica. Il combinato disposto dell’introduzione dell’Euro, con la conseguente impossibilità di svalutare la moneta nazionale e i crescenti vincoli alla finanza, nonché il fenomeno della globalizzazione, portano ad esaurimento la fase in cui la politica assistenziale del Sud era funzionale al sistema complessivo in quanto creava domanda al Nord e manteneva il Sud stesso come esercito elettorale di riserva del potere centrale. Nel momento in cui il Paese nella sua interezza è chiamato, per integrarsi nell’Europa, ad una svolta, «è sempre più pesante il peso dell’integrazione nel Paese del Mezzogiorno e, quindi, più stringente il nodo della necessità del Paese di svoltare e del Mezzogiorno di integrarsi nella svolta del Paese».
Il problema di fondo del Meridione non è la carenza di risorse statali (anzi, i trasferimenti al Sud sono stati cospicui nel tempo; basta pensare che, secondo i dati di Banca d’Italia, i trasferimenti a Sud corrispondono oggi a 60 miliardi, mentre il debito estero complessivo dello Stato è di circa 70 miliardi), ma, piuttosto, di «capitale sociale», ovvero di cultura civica, di capacità di finanziare esso stesso il proprio sviluppo, di una debolezza della classe politica tesa a distribuire ricchezza, spendendo, quindi, ciò che è divisibile piuttosto che intraprendere modifiche di carattere strutturale. Riprendendo temi già accennati venti anni fa nel suo Sviluppo senza autonomia, Trigilia conclude sostenendo la necessità di mettere dei paletti all’autonomia deresponsabilizzata: «Non si tratta certo di tagliare i servizi fondamentali, ma gli sprechi non possono essere tollerati».
A presentare il libro a Napoli , insieme all’autore, Umberto Ranieri, presidente della fondazioneMezzogiorno-Europa, Mauro Calise, Gabriella Gribaudo, Paolo Macry. Il primo ha sostenuto che «al centro del libro c’è la crisi della politica, punto su cui concordo convintamente ma ritengo anche contraddittorio»: perché solo dalla politica, che è il problema, può venire la soluzione. Il professor Calise si è soffermato sulla «deriva del finto federalismo» regionale, cui rispondere con «un neo-centralismo» statale. La professoressa Gribaudi ha indicato tra i limiti dei politici meridionali quello di non aver saputo difendere il territorio e ha dato spazio alla mancanza di mass media meridionali capaci di farsi sentire sul piano nazionale. Lo storico Paolo Macry ha ribadito che «il Sud è un territorio mangia soldi; non sono pochi i soldi che arrivano al Mezzogiorno, forse sono troppi» e che «a Sud non c’è stato troppo Stato, ma troppo poco Stato». Merito dell’autore, secondo Macry, è quello di dire con chiarezza che la bassa qualità della classe politica è determinata dal tipo di selezione fatta dagli elettori. Per tutti gli interlocutori, Non c’è Nord senza Sud – smontando «il mantra che riconduce le difficoltà di sviluppo del Meridione a carenze di risorse dello Stato» e affrontando la complessità delle problematiche culturali («l’aspettarsi dalla politica delle “cose”») le carenze del capitale sociale e la mancata centralità di indirizzo della politica – arriva al momento giusto per riaprire, in termini innovativi, il dibattito sul Sud.