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Il dibattito nella sinistra dopo lo tsunami del 4 marzo non può che ripartire da quello che appare il tema del giorno: può considerarsi di sinistra l’arginare il ‘’progresso’’? Come condizionare la così detta modernità per contrastarne l’egemonia ideologica distruttiva? Come riappropriarsi dell’antico retroterra identitario? Come rappresentare, anzi tornare a rappresentare, un sistema di valori, una visione del mondo diversi da quelli ora vigenti? Un curioso dibattito, solo in apparenza divergente, sviluppatosi nelle settimane passate tra Ernesto Galli della Loggia e il filosofo Roberto Esposito sulle pagine del Corriere della Sera e dell’Espresso ha cercato di vivacizzare una discussione che è del tutto assente – e qui sta il grave – nel panorama della sinistra così detta politica: cioè il Pd, cioè Leu, cioè Potere al Popolo. E chi più ne ha più ne metta di sigle…
In quest’ambito siamo, infatti, al balbettio più o meno totale, nonostante una certa vivacità che recentemente si sta notando nel mondo degli intellettuali. Il nodo cruciale dell’attualità ripropone una domanda di fondo: perché la dimensione del passato è stata così clamorosamente e totalmente negletta, consentendo che altri mettessero simboli nostalgici che hanno condotto alla xenofobia odierna? Su questo Lega e 5 Stelle (soprattutto i leghisti) hanno giocato in campo aperto con una sottolineatura costante che non manca mai riferimenti al passato e alla tradizione, decisivi per l’autoriconoscimento di qualunque collettività.
A sinistra invece è avvenuto tutto il contrario, se solo si pensa e si guarda agli esiti della strategia della rottamazione di renziana memoria, il cui unico obiettivo e risultato è stato quello di liberarsi alla fine di Massimo D’Alema. Ben magro risultato! L’antipolitica si combatte – io credo – rafforzando la soggettività e la consapevolezza degli attori sociali. Conservare dunque per arginare certi processi della così detta modernità. Ha scritto assai bene Roberto Esposito: contrapporre innovazione e memoria è stato un errore decisivo. ‘’La memoria è l’ossatura della storia e la tradizione non è un peso morto di cui disfarsi. E’ ciò che veicola la voce del passato nell’apertura del futuro’’.
Ovviamente questo non significa affatto che la cultura di sinistra non debba giocare la sua partita a tutto campo ma significa che è tempo di una grande politica. Di una grande politica che sappia opporsi a chi usa le identità particolari per alimentare i conflitti, prendendo coscienza del fatto che è in atto non solo un normale conflitto politico ma un vero e proprio conflitto di sistema (Alberto Asor Rosa) che dovrebbe dunque contrapporre due diverse visioni del mondo. Se è così è ora che qualcuno in quella sponda politica dia segnali chiari di risveglio e di consapevolezza, di analisi e di proposta e non solo legate alla data del congresso del PD (sigh!!!).