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Sembra che la realtà digitale si stia diffondendo in quasi tutti gli ambiti e la nuova comunicazione dei social non conosce confini. La politica se n’è appropriata, ne fa uso efficace per il proprio tornaconto. Trump, Il leader più potente del mondo (o tra i più importanti) comunica soprattutto con tweet. Così la maggioranza dei leader mondiali e nazionali. Mi viene in mente A colpi di tweet (ll Mulino), la ricerca di Sara Bentivegna, docente di comunicazione politica presso l’Università La Sapienza di Roma. Una ricerca durata tre anni con un quadro molto chiaro del nuovo paradigma digitale che ha caratterizzato la prima parte del Terzo Millennio. In realtà aveva già fatto capolino verso la fine degli anni ’90. La diffusione della rete e dei giornali online (siti, blog, news …) ha fatto il resto nell’uso dei social anche tra gli utenti delle diverse nazioni. Finalmente hanno potuto iniziare a svolgere il ruolo di cittadini attivi almeno alcuni di quelli che facevano uso del digitale, avendo potenzialmente filo diretto con il politico. Con limiti sicuramente: solo in campagna elettorale e parlando alla “pancia”. Ma la libertà di internet teoricamente e in apparenza viene data. Per alcuni è troppa e andrebbe controllata democraticamente. La stampa cartacea è entrata in crisi; ormai non è la sola a formare le opinioni o, in negativo, a carpire il consenso. Allo stesso modo il giornalismo televisivo. Da tempo ospita le strisce di tweet (e altro) eventualmente per un filo diretto con lettori e spettatori. Adesso i cittadini hanno la possibilità di essere più attivi senza ricorrere alla mediazione del cartaceo. Il quarto potere (quello della stampa e della televisione, ad eccezione dei programmi radio-televisivi in collegamento diretto con gli ascoltatori)) ne ha sempre di meno. Mentre i social sono andati oltre la politica di partiti e movimenti: hanno conquistato gran parte dei settori della società, compresa la quotidianità della gente comune.
Chi è nelle reti sociali crede di essere libero, di fatto Microsoft e Facebook (tanto per citarne alcuni) sono in mano ai fondatori: Mark Zuckeberg e Bill Gates. Due note, la 21 e la 22, dell’introduzione di Populismo digitale del sociologo Alessandro Dal Lago (ed. Cortina) danno l’idea del potere digitale con poche frasi. Nota 21: “I social network si scambiano ovviamente le informazioni sui clienti o utenti. Vedi Michela Rovelli: “Antitrust, multa da tre milioni a WhatsApp. Utenti obbligati a condividere i dati con Facebook” (Corriere della Sera). Nota 22: “… il potere di influenza delle grandi società che controllano il web (Google, Amazon, Facebook …) è di gran lunga superiore a quello di un leader politico, compreso [Donald Trump]. Facebook ha circa un miliardo e duecento milioni di utenti attivi ogni giorno”. Hai voglia a fare l’influencer, di influenzare in ogni momento. E’ stata una rivoluzione che ha cambiato il mondo e continua a cambiarlo. Alessandro Baricco nel suo ultimo libro The game la racconta cominciando dall’etimologia: “Il termine digitale viene dal latino digitus, dito: sulle dita noi contiamo e per questo DIGITALE significa più o meno NUMERICO”. Il sistema informatico è numerico: traduce qualsiasi informazione in una lista di cifre per scomporre il mondo nel linguaggio digitale. The game, il gioco consiste nel pc che ritraduce quei numeri nell’informazione originaria. Alla fine del Secondo Millennio c’è stato l’ulteriore salto nel web con l’applicazione del formato digitale. I siti web oggi sono quasi un miliardo e trecentomila.
Per Baricco viene prima la mente che ha generato Google e questa è la rivoluzione mentale. Non l’incontrario. E ancora: “L’uomo nuovo non è quello prodotto dallo smartphone: è quello che lo ha prodotto (…). Abituatevi a considerare il mondo digitale come un effetto e non come una causa”. E’ l’uomo nuovo del Terzo Millennio. L’Umanesimo digitale del Terzo Millennio. E la rivoluzione si è vista con Amazon che metteva fuori gioco le librerie; eBay i negozi; le mail il postino, il francobollo. Molti si convincono che si può fare a meno delle mediazioni, specialmente in politica. E rinasce il populismo che con i nuovi strumenti tecnologici parla più facilmente alla “pancia” degli elettori. Il momento aurorale di tutto ciò Baricco lo vede “in una leggendaria sessione tenutasi alla Joint Computer Conference di S. Francisco del 1968 in cui un inventore, Douglas Engellbart esibì, secondo un report autorevole, il primo mouse per computer, la prima teleconferenza, il primo software per scrittura e il primo computer interattivo. Stewart Brand, il suo assistente, “arrivò a coniare, nel 1974, un’espressione che ai tempi non significava nulla, o nel migliore dei casi una stronzata pazzesca: personal computer”. In quegli annia considerare il digitale uno strumento di liberazione fu una comunità della California: “Era una comunità strana, in cui ingegneri, informatici, hippie, militanti politici e nerd geniali [persone ben disposte verso l’informatica] si ritrovarono …”. Furono loro a sviluppare il digitale distraendolo dal sistema. I nuovi digitali “non avevano ideologia, impianto teorico e neppure un’estetica”; erano “intelligenze tecnico-scientifiche” che arrivavano a soluzioni pratiche. Portando i pc sulla scrivania distribuirono il potere tra la gente e le pagine web “su cui chiunque poteva, gratuitamente, circolare, creare, condividere fare soldi, esprimersi. Arrivarono a immaginare che tutto il sapere del mondo potesse essere raccolto in un’enciclopedia scritta collettivamente da tutti gli umani”. E oggi c’è Wikipedia. Ma limiti o difetti esistono. The Game ha creato un individualismo di massa ed eccessi di egoismo; ha creato concentrazioni di potere; finora non ha prodotto modelli di sviluppo economico sostenibile, giustizia sociale e distribuzione della ricchezza. Forse dovremo aspettare l’avvento di nuove generazioni di digitali in grado di apprendere le buone lezioni del passato con gli strumenti del presente. Ed ecco alcune verità nelle ultime pagine del libro: “Più di ogni altra cosa Il Game ha bisogno di umanesimo (…). [i nativi digitali] hanno bisogno di sentirsi umani. Il Game li ha spinti ad una quota di vita artificiale che può essere congeniale a uno scienziato o a un ingegnere, ma è sovente innaturale per tutti gli altri. Nei prossimi cento anni, mentre l’intelligenza artificiale ci porterà ancora più lontani da noi, non ci sarà merce più preziosa di tutto ciò che farà sentire umani gli uomini”. Se l’intelligenza artificiale ci allontanerà dall’umanità, finiremo di essere umani. L’Umanesimo deve entrare nel Game per arricchirlo di sensibilità. Ho scelto queste frasi dell’ultima pagina del libro: “Finire di costruire Il Game in modo che sia adatto agli umani. Non solo prodotto dagli umani: adatto a loro”. Si spera avvenga questa rivoluzione di nuova umanità con il digitale.