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“Il narcisista che riesce a non conoscersi, è prigioniero della sua illusione.” Lo siamo quasi tutti e pensiamo che lo siano solo gli altri. Il fenomeno è descritto nel libro “Arcipelago N. Variazioni sul Narcisismo” di Vittorio Lingiardi, psichiatra. I tratti si sono accentuati durante la pandemia, perché “il Covid-19 ha incrinato lo specchio narcisistico degli assetti psicologici e sociali. E ognuno ha reagito in modo diverso. Se ci pensate bene molte persone si sono comportate in modo maturo e si sono adattate alla criticità e ai problemi quotidiani. Invece chi aveva già componenti narcisistiche ha reagito in modo problematico. Della serie “Non mi contagerà mai il Covid, o non esiste”. Poi c’era la schiera da difesa con ritiro depressivo o fobico. “Non uscirò mai di casa.”
L’oracolo di Tiresia contiene la verità psicoanalitica: cioè che la conoscenza che mette fine all’inganno narcisistico con l’accettazione della perdita dell’onnipotenza infantile che celebra il sé. Lingiardi, come Gadda si sofferma sull’etimologia del nome mitologico di Narciso: “Ναρκάω, intorpidire. Narciso è “l’irrigidito in sé, l’intorpidito, il sonnolente quegli che non dà: che non si dà. Ha un blocco affettivo. Il narcisismo per l’autore, è Funambolo dell’autostima e Narciso cammina su una corda tesa fra un sano amor proprio e la sua patologica celebrazione. Ma in che misura comprende tutti? Riprende la teoria di Christopher Lasch, che negli anni Settanta lanciò il concetto di “cultura del narcisismo”. L’indebolirsi dei legami di solidarietà e una certa “egolatria” fatta di ossessioni identitarie, estetico- chirurgiche, che si ritrova nei media e in politica. Sarebbe la pratica generalizzata del narcisismo che si traduce con lo svilupparsi di immagini di sé fragili e che si traducono in paura dei rapporti duraturi, nella paura di invecchiare o di non essere belli e in forma. In una rimozione della vulnerabilità, nella ricerca di essere apprezzati a buon mercato.
Il narcisismo è per Lingiardi, l’incapacità di spostare l’attenzione da sé per rivolgerla a un altro. C’è il narcisismo dell’arroganza e quello della fragilità, che a loro insaputa, spesso convivono. Si chiede, Quanto sono importante, io? E gli altri, quanto pensano che io valga? Si dividono in narcisisti covert, timidi e nascosti, e overt, pieni di sé che vogliono sempre attenzione. Tutti e due oscillano sul precipizio. Gli altri li vedono poco: li trattano come un pubblico, da conquistare o di cui temere le critiche. Li svalutano o li idealizzano.
Il narcisismo si dissimula, ci colpisce per i suoi aspetti grandiosi e prepotenti. È diffuso anche il narcisismo silenzioso “la cui pelle sottile avvolge i nostri sentimenti di insoddisfazione, di inadeguatezza e la paura di non essere visti, il timore del giudizio”. Tutte risposte difensive e diverse ai traumi dello sviluppo. Non tutto il narcisismo è patologico. C ‘è anche quello fatto di soddisfazione che non esclude qualche preoccupazione per come siamo e come ci vedono gli altri. Oggi l’esibizione e l’autocelebrazione sono vigorose, e non è facile riconoscere la linea di demarcazione fra il tratto narcisistico e l’adattamento culturale. Un buon sistema, suggerisce l’autore, è considerare lo stile delle nostre relazioni, l’autenticità nell’amicizia e nell’amore, la sincerità del proprio interessarsi agli altri, la capacità di perdonare le imperfezioni proprie e degli altri e di tollerare le frustrazioni. Clinica e ricerca concordano su un dato. Le persone che soffrono di un disturbo narcisistico di personalità non riescono a far stare bene le persone che li amano. Ne conosciamo tanti, forse troppi.