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La parabola dell’amministratore disonesto può dare imbarazzo perché a un ascolto superficiale potrebbe sembrare un elogio della disonestà, dell’astuzia e dei furbetti. Il senso e la profondità del messaggio sono chiari dal contesto che vede la parabola collocata fra l’annuncio della misericordia (cf. Lc 15,1-32) e l’insegnamento sulla fallacia delle ricchezze (cf. Lc 16,10-31). Il brano sintetizza e ricapitola, tutto il messaggio biblico sulla precarietà della ricchezza e sul suo corretto uso. E può essere interpretata secondo la tradizione biblica sapienziale come una metafora realistica della nostra esistenza precaria. Siamo amministratori provvisori di un patrimonio che non ci appartiene perché i beni che abbiamo, ci verranno tolti quando moriremo. C’è un uso lungimirante di questa ricchezza precaria che ce la renderà utile anche quando verrà a mancare. Approfittare del tempo che ci rimane per trovare amici che ci accoglieranno quando non avremo più nulla.
Ma, chi sono questi amici che ci accoglieranno «nelle dimore eterne»? In linea con la tradizione profetica, e con i richiami alla misericordia verso i bisognosi, Luca lascia intendere che gli amici da farsi finché si è in tempo, con la ricchezza che risulterebbe inesorabilmente «disonesta», sono i poveri. A loro appartiene il regno di Dio (Lc 6,21) e il bene che si fa a loro è la chiave che lo apre.
La prospettiva di Luca è sovrapponibile con quella di Matteo che, al capitolo 25 del suo Vangelo, delinea l’identificazione del Giudice escatologico con i poveri e i sofferenti. Enuclea quelle che la tradizione della Chiesa riconoscerà come opere di misericordia corporale: «ho avuto fame e mi avete dato da mangiare… ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito» (Mt 25,35-36).
Quello che appare difficoltoso è metterlo in pratica per tre motivi. Il primo è che a nessuno, nella cultura corrente, piace pensare alla propria morte come invece il messaggio della parabola ci richiama a fare. Il secondo è che tutti siamo attaccati ai nostri beni e troviamo una naturale difficoltà a separarcene anche per un calcolo lungimirante come quello raccomandato dal Vangelo. L’ultimo motivo sta nel fatto che i poveri ci risultano spesso sgradevoli, se non addirittura un problema da cui difenderci e da tener lontano. Il Vangelo, ammonisce che i poveri che oggi ci possono apparire un problema, un domani, dopo la nostra morte, potrebbero essere la nostra decisiva risorsa se non li avremo rifiutati, disprezzati o ignorati (cf. Lc 16,19-31).
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne» (Lc 16,1-9).