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Antipolitica, populismo e neopopulismo. Contagiosi come il coronavirus!
Scritto da Lametino 5 Pubblicato in Pino Gullà© RIPRODUZIONE RISERVATA
Populismo 2.0, edito da Einaudi nel 2017, è il titolo del libro di Marco Revelli, docente di Scienza della Politica all’Università del Piemonte orientale, sulla crisi della rappresentanza. Il titolo ritorna nel primo capitolo, in modo articolato, quasi a sintetizzare la tesi centrale dell’indagine, appunto Populismo 2.0: malattia senile della democrazia. Riecheggia ancora un’opera del secolo scorso: L’estremismo, malattia infantile del comunismo, saggio del 1920 di Lenin, rivoluzionario e statista russo, protagonista della Rivoluzione d’ottobre del 1917; delle vicende storiche e politiche di allora Lenin criticava i “comunisti di sinistra” che erano contro i compromessi e per l’astensionismo parlamentare in Occidente. Revelli inizia come se fosse un umanista del Quattrocento: “Democrazia e Populismo hanno la radice in comune. Demos in greco e populus in latino rinviano allo stesso soggetto: il popolo. E dunque a un destino in buona misura comune: quando il popolo “sta male” anche la democrazia soffre…” (p.3). Ecco evidenziati i sintomi patologici della “Democrazia rappresentativa”. A pagina 8 il docente continua con la classicità; si legge tutta nel titolo del paragrafo: “Oclocrazia [dal greco antico oclos, moltitudine, e kratos, potere] ovvero Governo della plebe?”. Termine usato da Polibio, storico dell’antica Grecia, nato a Megalopoli; poi esule a Roma. Vissuto nel periodo della decadenza greca e della espansione romana (205 circa-120 avanti Cristo). Così il virgolettato: “E oclocrazia, governo della plebe, come Polibio chiamò la degenerazione della democrazia quando, smarrito il valore dell’uguaglianza, il popolo ambisce la vendetta”. È stato tratto dal libro quarto delle Storie scritto nel secondo secolo avanti Cristo. Sono passati secoli e millenni; oggi l’agorà della polis è diventata piazza virtuale.
Nella pubblicazione successiva, La politica senza politica (Einaudi, 2019), il docente di Torino, figlio del partigiano e scrittore Benvenuto (Nuto) Revelli, sottolinea la decadenza della democrazia rappresentativa del Terzo Millennio. I sociologi della politica la chiamano post-democrazia (Colin Crouch, Postdemocrazia, Laterza, 2005) o contro-democrazia (Pierre Rosanvallon, Controdemocrazia. La politica nell’era della sfiducia, Castelvecchi, 2012) ovvero neo-populismo. E’ caratterizzata dall’astensione o, per chi vota, “dalla mobilità”: l’elettorato si sposta dai partiti tradizionali verso nuove formazioni politiche. Lo studioso ritorna alla grecità e sottolinea la poiesis, l’attività pratica quotidiana della comunità della polis greca “in vista di un fine condiviso” (p.VII). Oggi l’agorà è occupata in massima parte da politici con narrazioni (storytelling) contrapposte e autoreferenziali. Nelle pagine inziali descrive in modo chiaro l’elettorato di partiti e movimenti neopopulisti: “… come il brontolio cupo degli strati più bassi della società che rimbomba nel vuoto di una politica spopolata. Il suo corpo sociale è composto, in prevalenza, dai traditi della politica (…) quel demos che si sente abbandonato (dimenticato) dal kratos (dal potere), che non cerca più rappresentanza (ne ha perso l’illusione), ma solo rappresentazione. (…) Sono loro i protagonisti principali della politica senza politica…” (p. XI). Nell’aletta anteriore della copertina viene anticipato il tema centrale della ricerca: “E’ il racconto di come siamo arrivati fin qui, di come il populismo non sia un mostro apparso all’improvviso dall’oscurità, ma l’effetto di un deficit di rappresentanza…”. Tanto è vero che affonda le sue radici nella storia antica. Per periodizzare e caratterizzare il populismo di casa nostra dalla fine del secolo scorso fino ad oggi, ritorno a sfogliare Populismo 2.0. Revelli riporta in nota a pagina 127 Il populismo della politica italiana. Da Bossi a Berlusconi, da Grillo a Renzi di Roberto Biorcio (Edizioni Mimesis, Milano 2015). Provo a sintetizzarlo: l’etno-populismo, il populismo televisivo e quello del web. L’ultimo, il populismo dei social o, come dir si voglia, populismo digitale ha contagiato quasi tutta la politica. Come il coronavirus.
Molti collegano le origini del neo-populismo italiano a Tangentopoli e a Manipulite che hanno dato la stura all’antipolitica. In verità sarebbe più corretto dire: politica contro quella dominante e non solo (rendite parassitarie, burocrati, politici di professione). Alcuni pensano che il termine antipolitica sia un neologismo degli anni ’90. Eppure Revelli ci rivela che la nascita è più lontana nel tempo: “Parola di per sé (…) non giovane. Anzi dalla lunga storia, se già negli anni Quaranta lo storico Luigi Salvatorelli, a proposito di Guglielmo Giannini e del suo movimento [Fronte] dell’Uomo Qualunque, l’aveva rimproverato di riproporre la vecchia [sic!] scemenza dell’antipoliticità” (pp.17-18). Addirittura è stata ancora retrodatata sempre nell’ambito accademico o degli addetti ai lavori. E in Germania nel 1918 Thomas Mann, Nobel per la letteratura (per il romanzo I Buddenbrook) in Considerazioni di un impolitico: “L’antipolitica è essa stessa una politica…” (p. 20). Bisogna aggiungere, però, che lo scrittore (ricordo La montagna incantata, La morte a Venezia, Doctor Faustus…) e saggista tedesco, in seguito (nel 1922) rigettò quanto di antidemocratico aveva scritto dichiarando di essere a sostegno della Repubblica di Weimar (Della Repubblica tedesca).
Da noi antipolitica è diventata lessico comune dopo il ’92 diffondendo il neo-populismo negli ultimi decenni. Neo-populismo perché diverso dal populismo classico che favoriva “forme di mobilitazione sociale attraverso la creazione degli interessi, mentre il neo-populismo si appella direttamente a settori sociali non organizzati, oltrepassando le associazioni già esistenti (Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino, Dizionario di Politica). Esistono oggi diversi e variegati neo-populismi; sono in grado di usare la comunicazione in modo efficace; arrivano diretti al malcontento dell’elettorato. Nella maggioranza dei casi è il leader che si mette in contatto con l’emozionalità del pubblico (parlare alla pancia); cerca di evitare il contraddittorio; preferisce il monologo e usa i social. Questo si riscontra in quasi tutti i protagonisti di movimenti o partiti populisti. Sono contagiosi, in particolare nel mondo del web. In Italia, e in altri Paesi sono nati dalla crisi della politica tradizionale (o dominante) diventata autoreferenziale. Revelli in Populismo 2.0 parla di deficit di rappresentanza (p.4). I populisti hanno occupato lo spazio con la rappresentazione, gli slogan, il linguaggio comune catturando l’attenzione e l’interesse della moltitudine. Bravi in campagna elettorale nel guadagnare consenso; di meno quando governano, con le dovute eccezioni. Utilizzano al massimo sia i media tradizionali sia i social. Il web, in particolare, ha cambiato il modo di far politica; ha acquisito maggiore importanza il pubblico (non l’opinione pubblica) che passa velocemente dalla fiducia alla sfiducia. Non a caso viene continuamente monitorato dai sondaggi. Ultimamente abbiamo assistito al cambio repentino degli schieramenti per la formazione del governo. Dal governo “gialloverde a quello “giallorosso”, ma il primo ministro non è cambiato. Volatilità, incertezza, fragilità causano posizionamento continuo. La pandemia ha aggravato tale situazione. Ci vorrebbe un vaccino per salvare la buona politica. L’intervento di Draghi (ex presidente della BCE) al meeting di Rimini del mese scorso potrebbe essere l’avvio della ricerca di anticorpi necessari per fermare il vuoto del neo-populismo. Vado a memoria su alcuni passaggi: non bisogna privare i giovani del loro futuro; essere consapevoli della disuguaglianza generazionale; i debiti devono essere utilizzati per fini produttivi (infrastrutture, ricerca, formazione). La politica deve gestire al meglio il post-Covid: sostegno alle famiglie e alle imprese per una ripresa dei consumi. E il governo dovrà dare buona prova di sé attraverso la responsabilità, la trasparenza, la condivisione per la credibilità della politica economica che sarà messa in atto. Preziosa sarebbe un’opposizione costruttiva su questi temi. Auguri a tutti noi!