Lamezia Terme – È stata di recente pubblicata la monografia sulle opere del magistrato lametino Marcello Vitale, del critico letterario Plinio Perilli. “Lo sguardo dell'uomo - Marcello Vitale, magistrato illustre e insieme poeta civile” è il titolo del libro di Plinio Perilli edito da Rubbettino. L’autore, nato a Roma nel 1955 è anche critico e saggista. Tra le opere del magistrato nato a Nicastro nel 1939 spicca il legal thriller “La bolgia dei dannati”, “Nessuno mi può giudicare - Non solo ’68. Storia d’amore a Torino tra una studentessa contestatrice e un magistrato del Sud” e, ancora "La donna della panchina". È autore di nove raccolte di poesie e di tre romanzi, di cui due gialli. Magistrato, sostituto Procuratore della Repubblica, membro titolare della Corte d’Assise di Catanzaro, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lamezia Terme, Presidente Aggiunto Onorario della Corte di Cassazione: una fulgida carriera al servizio della magistratura e oggi anche illustre scrittore e poeta.
Nella descrizione di questa sua ultima opere scrive: “Poeta etico, esemplare, neo-umanista sensuoso innamorato della vita e suo raccontatore per affranto, infranto specchio d’elegia, Marcello Vitale (già alto magistrato con forti, decisive esperienze epocali nei tempi e luoghi più caldi dell’impegno civile e delle emergenze sociopolitiche), è scrittore vero, capace di varcare ogni campo e vicissitudine del suo operato, ogni lido l’esperienza, serbando una luce tutta propria d’esperienza, dunque fiammella d’Umano, oro puro e incorrotto di moralità… Incorrotto, perché la corruttela dell’esperienza e della storia si fa in lui – in tutti gli spiriti liberi – ampia consapevolezza e barlume esatto di profonda saggezza: anch’essa devota all’Umano. Il tempo mi toccava il corpo / e si modellava su di me, lui che era / senza forma. Così poteva invecchiare / con rughe, e morire. // Mi passò accanto il segno doppio / del bene e del male. / Cercava un bimbo in cui crescere / dopo che il suo padrone era morto. Sempre Marcello Vitale (aveva ragione Alberto Frattini) ha puntato “su un’idea di poesia come testimonianza, dall’interno del vissuto, sui più inquietanti problemi dell’uomo contemporaneo: all’eclissi dei valori al degrado etico, dall’appiattimento della vita tra routine produttiva e attrazione del comfort e del successo, ai rischi dell’ipertecnologismo e del miraggio cibernetico”… Vitale ferma il tempo e forse lo riavvolge, lo riavvia progressivamente all’indietro per riassaporarlo e distillarlo, includerlo in un’idea forte di futuro che parte, origina da lontano, e non ha senso limitare alle ere, ai periodi, perché è già DNA, eredità profonda”.
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