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Quando una “comunità” lascia che il proprio paesaggio venga impunemente stravolto da forze estranee che fanno leva sul loro potere economico, non è più degna di essere chiamata tale. Quella “comunità” ha perso il suo status. Non è più una comunità. Perché quando si parla di “comunità” si intende, ormai, non solo un insieme di individui che abita un determinato luogo ma anche il luogo stesso. Luogo che non è altro che il paesaggio di quegli individui. Magari vi saranno al suo interno uomini, donne, gruppi che continueranno a ritenersi – e forse anche a comportarsi come – una comunità, ma nella sua interezza quella determinata comunità deprivata del suo paesaggio è già in coma neurovegetativo irreversibile.
Perché ha lasciato che si cancellasse l’unico grande prodotto fisico e nello stesso tempo immateriale che essa ha costruito attorno a sé e dentro di sé, nei secoli: il paesaggio, appunto. Il suo paesaggio. Quell’inconfondibile, distinto, identitario segnale di vita (e di cultura) che è promanato dal suo corpo sociale. Attraverso secoli di interazione diuturna con i campi, le valli, le montagne, i corsi d’acqua, i boschi, gli orizzonti, gli iconemi (segni distintivi del paesaggio), i villaggi, gli uomini. Il paesaggio, infatti, non è un’astrazione artistica. Non è un’invenzione filosofica. Non è uno specchietto per le allodole per turisti. Non è il godimento ipocondriaco di chi, la domenica, si masturba mentalmente dinanzi alle svariate trasmissioni televisive che magnificano le bellezze dell’Italia, saltando dai calanchi lucani all’adrenalinico volo dell’angelo appesi ad una corda d’acciaio di Castelmezzano (come è accaduto a Linea Verde di ieri domenica 18 gennaio). Non è l’elucubrazione di un pianificatore lautamente pagato dall’amministrazione pubblica di turno per dirci come si chiama il labirinto di colline entro cui viviamo e come lo si possa trasformare in un lucroso parco divertimenti. Il paesaggio siamo “noi”. E quando dico noi, mi riferisco proprio a tutti noi, a tutti coloro che hanno la pretesa di chiamarsi “una comunità”.