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Questa volta parliamo di libri. Anzi di un libro. "Da che parte sta il mare" di Annarosa Macrì, edito da Rubbettino, è un racconto dell’infanzia, una narrazione di famiglia, una storia in cui, nonostante le singole e specifiche, differenze, possono riconoscersi molti reggini che hanno vissuto gli anni cinquanta del Novecento. Non un romanzo della memoria ma il passato fissato in contemporanea dagli occhi della bambina che lo sta vivendo: questo è uno dei passaggi di una delle tante e tante critiche elogiative del libro di Annarosa Macrì uscite in questi mesi. Un libro che ha vinto già molti premi e che consigliamo per un bel regalo di Natale.
La povertà e la dignità, l’appartenenza sempre in bilico tra l’andare via e il tornare, la famiglia come nucleo assoluto della Calabria del ’56: terra di assoluta precarietà, mentre il boom economico sta per trasformare il paese.
Il mondo – dalla nonna, che divide il tempo in pre e post grande terremoto e il mondo in signori e cafoni e ha un ottimo (brutto) motivo per non avere alcuna fiducia nei maschi, alle compagne di scuola, al parroco delle prima comunione – visto con lo stupore, le paure, l’innocenza, le domande e le accettazioni dell’infanzia. Che si sente diversa e irregolare – ha scritto mirabilmente Maria Franco - in un mondo di normali e regolari, ma sa pure che quella è la propria vita.
È un testo intenso e sobrio quello di Annarosa Macrì, che racconta di emozioni forti, evitando ogni scivolata nel sentimentalismo, ma dando, al lettore, emozioni intense. Un testo che sembra, in qualche modo, smentire il famosissimo incipit di Anna Karenina, secondo cui “tutte le famiglie felici sono simili le une alle altre; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.” E, invece, anche ogni famiglia felice lo è a modo suo. Perché la famiglia della piccola Anna, con i suoi anomali genitori, senza parenti, senza amici, piena di vuoti e di difficoltà, è, a suo modo, una famiglia felice, in cui circolano amore per le persone (amore non convenzionale, anzi a modo proprio) e amore per la conoscenza. Nette si stagliano le figure della madre e del padre. La madre, forte e allegra, la professoressa, prima laureata della città, che sposa, contro la volontà dei suoi, un uomo che, per lungo tempo, non lavora e si deve far carico, da sola, del mantenimento delle tre figlie e di un bel po’ di spostamenti nel Nord Italia. Una donna senza vezzi ma innamorata dei fiori, che sa trasformare piccoli spazi improbabili in case, in fondo felici: perché sa bene che la casa è nello stare insieme prima che nelle solide mura e nelle stanze accoglienti. Come sa bene che il mare c’è sempre, anche quando non lo si vede, basta guardare in una direzione e indicarlo sempre più in là.
E il padre, che, nell’ultimo capitolo, diviene non solo la colonna affettiva della bambina e colui che segnerà la sua futura scelta professionale, ma anche la metafora del valore stesso della scrittura, il senso esistenziale e morale che sta nel conservare, in parole, la memoria e l’esperienza della propria vita.