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di FILIPPO VELTRI
Immaginate per un momento una citta' di 60 mila abitanti, sul mare, all'inizio dell'estate, e decine di dibattiti su libri che parlano di mafie sparsi per vari punti del centro storico, con centinaia di persone che stanno li' fino a notte fonda. Questo e' stato il festival Trame a Lamezia Terme. Una vera e propria rivoluzione culturale, che ha coinvolto la citta', volontari, giovani e meno giovani, una scommessa vinta di chi ha voluto questo festival: l'ideatore Tano Grasso (che oggi fa l'assessore alla cultura a Lamezia), Lirio Abbate che ne e' stato il direttore, il sindaco Gianni Speranza. Mercoledi’ 22 e sabato 26 sono stato ospite di Trame e – come scrivevano i grandi pensatori greci del Quinto secolo avanti Cristo – gli occhi sono piu’ sicuri testimoni delle orecchie: la prima sera fino a mezzanotte nella piazzetta San Domenico il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso ha discusso con Bianca Stancanelli del suo libro ''Per non morire di mafia'', e poco prima Franco Roberti, procuratore della Dda di Salerno, ragionava a Palazzo Panariti insieme al figlio di Rocco Chinnici di camorra ed estorsioni in Campania. Un'ora prima, nello stesso luogo, arrampicato per le stradine della vecchia Nicastro, il procuratore di Palmi, Giuseppe Creazzo, presentava il libro di due giovani studiosi calabresi,Alessio Magro e Danilo Chirico, sulle vittime dimenticate delle mafie, e con loro c'era Deborah Cartisano, la figlia di Lollo' Cartisano, un fotografo di Bovalino, nella locride, rapito una ventina d'anni fa e mai piu' rilasciato. Deborah ha raccontato davanti a un pubblico ammutolito come e quando ritrovarono i resti del padre ai piedi dell'Aspromonte. Una vittima dimenticata della violenza della mafia. Come Peppino Impastato,
la cui storia raccontavano in un altro punto della citta' Umberto Santino e Anna Puglisi, che hanno presentato il loro libro intervista di alcuni anni fa alla mamma di Peppino, Felicia Bartolotta Impastato.Insomma, le storie delle mafie raccontate da chi non ci sta a cedere, come don Luigi Ciotti ha efficacemente riassunto. Una ventata d’aria fresca a Lamezia , ha scritto Mimmo Gangemi, nata da una semplice ideuzza: opporre al morbo purulento che appesta questa terra il vaccino della cultura e della parola, costruire una nuova mentalità non intrisa di ’ndrangheta, non tale che, a strizzarla, ne esca contiguità, connivenza, affiliazione ideologica, non tale da far pensare eroi da emulare certe bestie ingorde di sangue. Ne potrebbe venire molto più di quanto stia riuscendo a magistratura e forze dell’ordine attraverso arresti a centinaia e sequestri di beni milionari. Ancora Gangemi: ‘’ a Lamezia sono accorsi uomini di cultura, giornalisti, magistrati, scrittori che hanno raccontato le mafie. Portano testimonianze, esperienze. La popolazione sana, che è la stragrande maggioranza, partecipa al gran completo, fino alle ore più tarde e con un entusiasmo insperato. Segno che non ne può più e che è sul serio intenzionata a togliersi dalla schiavitù e a correre qualche rischio pur di emergere da un degrado che mette in affanno le vite, che fa fuggire altrove’’.
Il segnale che arriva dalla manifestazione è stato, dunque, assai incoraggiante. C’è davvero voglia di affrancarsi dai malavitosi fin’oggi padroni dei destini di tutti, di mettersi al fianco di una Giustizia ora efficiente, di allargare la lama di luce che già si intravede in fondo al tunnel, di far sì che la ’ndrangheta per certuni non diventi uno sbocco di vita. Catene antiche possono essere spezzate per sempre. E le Trame di Lamezia hanno aperto una porta che era prima socchiusa. Nessuno si azzardi a farla chiudere, magari per meschine beghe di politica locale.
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