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Il recente incontro pubblico, promosso simbolicamente in coincidenza con la Festa di san Martino, sul tema “il Vino nella Piana di Lamezia” e organizzato dalle Associazioni “Arte & Antichità Passato Prossimo” e “Un Anthurium per Francesco”, è una delle tante significative dimostrazioni del forte legame di Sambiase con il suo territorio, con la terra e le sue essenze, nelle varie forme. Le due associazioni riaffermano quel sentire forte e intenso del valore spirituale della terra, che è patrimonio comune, molto diffuso a Sambiase, ed espresso in forma di poesia anche dal suo poeta più rappresentativo (è ormai condivisa da molti la presenza del dolore del destino della “terra” del Sud nella poesia di Franco Costabile). Gli ulivi e la rosa, prodotti diretti della terra e contenuti persino nei titoli delle sue pubblicazioni, sono in Costabile i riferimenti poetici più noti e significativi che testimoniamo come il contesto fisico dei luoghi costituisca il punto di rovesciamento del dolore esistenziale individuale e, poi, collettivo.
In questo alone culturale si colloca la posizione delle due Associazioni che individuano nei prodotti della terra e delle strutture fisiche (architettoniche ed edilizie) appartenenti alla tradizione e alla storia dei luoghi e degli uomini, un punto fermo del loro genuino interesse sociale. Da qui le ragioni dell’incontro pubblico, proteso essenzialmente alla conservazione delle memorie, come luoghi spirituali, prima che fisici, rappresentativi del legame storico dell’uomo con il “suo” territorio. Una battaglia il cui valore va al di là dell’esito specifico degli obiettivi prefissati dalle due Associazioni. Ma rimane comunque integra la lezione: gli usi non possono essere indifferenti rispetto al territorio, nel suo valore più ampio, e alle memorie “umane”, stratificate nel tempo, che esso contiene e verso le quali bisognerebbe porsi, quantomeno, con circospezione. Per rispetto degli uomini che hanno concorso, in sede di realizzazione, di produzione e di lunghe attese (proprie della storia) di persone, carri e animali, a fare economia ma anche a “costruire” le sedimentazioni del valore specifico dei luoghi. Un luogo non vale un altro, soprattutto per la diversa stratificazione delle memorie collettive.
Questa occasione offre l’opportunità di evidenziare un’ulteriore sostanziale differenza tra i diversi “centri” che costituiscono la città. Ancora una volta, una diversità sostanziale, che deriva dai legami stabili, consolidati, tra gli abitanti e i luoghi, dove ovviamente la variabile tempo ha svolto un ruolo fondamentale. La giovinezza di Sant’Eufemia Lamezia (nata ufficialmente nel 1935), i cui abitanti sono costituiti per la stragrande maggioranza da persone la cui origine è esterna, è per esempio una delle ragioni che giustifica in parte il distacco dei suoi abitanti dal destino dello zuccherificio (la battaglia per la sua salvaguardia è stata condotta da intellettuali di altri quartieri della città), celebrato invece in ambito nazionale come importante memoria storico-architettonica. Il territorio, a Sambiase, ha unito più di quanto abbiano potuto fare l’indifferenza ai luoghi, propria dei “servizi” della vicina Nicastro, e il carattere cosmopolita di Sant’Eufemia Lamezia, che ha radici poco profonde per avere un vero e proprio carattere identitario.
La specificità del legame di Sambiase con le attività produttive strettamente connesse alla “terra” è storicamente consolidata fino agli Sessanta del secolo scorso. Del resto, è noto che il centro abitato di Sambiase ha definito nel tempo la sua connotazione rurale, soprattutto con riferimento alla produzione di vino, olio e grano. Legame confermato anche dalle tipologie edilizie residenziali diffuse in ambito urbano (al di sopra della linea ferrata), fino al lungo secondo dopoguerra del secolo scorso. L’”enopolio” e, in particolare, le “cantine sociali”, realizzate negli anni Sessanta a distanza dal centro abitato per ragioni di funzionalità e per stimolare la creazione di veri e propri poli produttivi con relativi servizi sempre legati alle attività economiche proprie delle pratiche agricole, sono la plastica dimostrazione del legame del territorio di Sambiase con le sue tradizioni radicate e consolidate nel lungo tempo della storia. La stretta relazione spaziale con la stazione ferroviaria tendeva a modernizzare il rapporto con l’enopolio proprio con l’obiettivo di definire localmente, sul piano funzionale, la filiera corta, dalla trasformazione all’imbottigliamento e alla commercializzazione. Tutto questo accade mentre nella vicina Sant’Eufemia Lamezia si esauriva la breve vita dello zuccherificio e a Nicastro erano da poco dismesse le attività produttive legate alla produzione di saponi e alle attività di distilleria, che avevano dimostrato l’esistenza di un’intensa e moderna attività industriale locale intorno alle stazioni ferroviarie; quest’ultime, nel corso del Novecento portavano al totale abbandono della “strada del mare”, ovvero delle ottocentesche imbarcazioni a vapore, rivitalizzando i rapporti commerciali con le città di Messina e Napoli su rotaia.
Il territorio di Sambiase continua a conservare presenze che, anche sul piano architettonico testimoniano, più che altrove, l’assoluta importanza delle attività di trasformazione dei prodotti agricoli. A titolo di esempio, si cita l’imponente acquedotto ad archi in muratura, nelle adiacenze del torrente Bagni, la cui presenza è stata sottolineata recentemente dall’Associazione “Quaranta Martiri” e che fa parte di un antico sistema produttivo costituito da due molini della famiglia Franzì nonché da una “macchina pel nocciolo” e un molino di proprietà di Michele Nicotera e Carlo Cesare Gregorace costruiti, questi ultimi, nella prima metà dell’Ottocento. Il rilievo eseguito nel 1856 dagli architetti Raimondo Singlitico e Salvatore Amato, peraltro, avvalorerebbe indirettamente l’intuizione di Antonio Zaffina circa l’antichissima appartenenza privata (forse soltanto in un secondo tempo trasferita alla Curia vescovile) del piccolo nucleo architettonico originario della chiesa di Maria santissima di Porto Salvo, posto nelle vicinanze del lungo acquedotto, in parte “incassato” e in parte “sostenuto da muri e archi in fabbrica”. Del resto, è evidente che la stessa denominazione della Chiesa, dedicata a santa Maria di Porto Salvo – posta lungo un antico percorso preferenziale per la marina di Sant’Eufemia –, rinvia direttamente a un bisogno di protezione della gente di mare, pescatori e naviganti, su iniziativa con molta probabilità di un singolo cittadino attivo in ambito commerciale marittimo.
Va detto comunque che – se da una parte, queste supposizioni di dettaglio vanno ulteriormente approfondite per offrire più solide certezze – è acclarato che, in prossimità del contesto produttivo descritto, anticamente vi era un’ampia proprietà della Mensa vescovile, su parte della quale è stato poi realizzato il cimitero di Sambiase. Né va dimenticato che a pochi metri di distanza, in questa vasta area rurale, ben esposta e altamente produttiva con dei monumentali ulivi, esistono presenze significative di tracce di ville romane con ampi poderi, come ha più volte ricordato l’Associazione archeologica lametina. Elementi che confermano, ancora una volta, la specialità della storia agricola di Sambiase.