La società calabrese nel periodo post unitario tra: immobilismo e riformismo

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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Nel presente scritto si daranno delle informazioni sintetiche sulla situazione sociale della Calabria nel periodo successivo all’Unità, cercando di delineare in modo particolare i seguenti aspetti: istruzione, viabilità, risorse disponibili per gli interventi pubblici al fine di affrontare tali problematiche ed, infine, si riporteranno delle note particolarmente significative riguardanti le profonde differenze di ceto tra gli abitanti della Regione. Di seguito si riporta un brano in cui c’è un quadro eloquente  sulla situazione sociale tra il periodo borbonico e quello unitario: “ Era […] una società decisamente ripartita e fasciata nelle sue gerarchie – da cui pure l’interno della famiglia veniva coordinato- : i galantuomini in alto, i loro agenti in mezzo, qualche gradino più giù i massarotti che pigliano buoi o terre in affitto dai primi, e sotto i mezzadri a conduzione parziaria – ora torchiati ben più di cinquant’anni prima- e in condizione più miserabile i braccianti […] insieme ai giumentari, pastori ecc. in continuata, squallida migrazione con le stagioni, dai monti alla costa e da questa ai monti. In realtà la storia nuova della Calabria – quella che scuoterà a poco a poco queste feudali strutture- è iniziata solo quando a metà agosto 1860 Garibaldi sbarcò  a Melito, e in quindici giorni la penisola bruzia si liberò dai presidi del Borbone”( Lucio Gambi, Calabria, Utet, Torino, 1978, p. 194).

Le condizioni effettive erano così arretrate tanto da porre ostacoli enormi alle innovazioni auspicate dai nuovi governanti, il passo successivo evidenzia tale problematica in maniera puntuale: “ In realtà, le guide politiche calabresi erano strette tra i principi che avevano affermato contro il governo borbonico e i problemi reali posti dal processo unitario e dai modi della sua attuazione […] Nel contempo, però, sia la linea portante dell’ordinamento amministrativo, sia il complesso della manovra fiscale, oltre a mutare profondamente le vecchie forme, contraddiceva l’attesa d’interventi specifici del nuovo Stato soprattutto nei settori del credito, dei lavori pubblici e dell’istruzione. Da questo lato la delusione fu cocente, anche nei quadri dirigenti più unitari. Lo stato finanziario delle province e dei comuni era non solo dissestato ma esangue [...] Le domande principali erano: << strade>> e <<istruzione>>. Riassume bene il tono prevalente dei discorsi politici e amministrativi di quegli anni questo brano del rapporto della deputazione provinciale catanzarese del 1862:

Apriamo strade, strade, e poi strade. Il popolo col suo lavoro guadagnerassi il pane. […] l’agricoltura trovando spaccio ai suoi prodotti, s’immeglierà. Ed il commercio rifiorirà su questa terra, che di tutto abbonda, e manca di ben poche derrate. E compirà le opere nostre – se abbiamo fede -  il governo nazionale; l’unità d’Italia non sarà più un nome astratto quando sul litorale del Jonio, e quindi sovra altri punti del Calabro suolo, una caldaia tirerà seco, in men che si possa discernere, lunghi convogli; e quando l’uno e l’altro mare offriranno a’ grossi legni sicuro ricovero massime poi che al Mediterraneo sarà congiunto il Mar Rosso.

Non tutti ragionavano secondo tale ottimistico schema, né si pretendeva da tutti […] l’assunzione piena da parte del governo degli oneri imposti dalla creazione del sistema viario o scolastico. Ma era generale l’attesa che lo Stato si assumesse una parte consistente della pesante eredità borbonica. Se non sempre si percepivano le distanze esistenti tra le diverse aree della penisola sul terreno produttivo, chiara era tuttavia l’idea del divario su quello del credito, della viabilità e dell’istruzione. Su queste basi erano stati fondati soprattutto i piani per le reti stradali e per le opere portuali, sospesi quando si accertarono i gravi ostacoli per l’assunzione di mutui e la linea quasi opposta del governo. D’altra parte, specie in materia d’istruzione, fortissima era la resistenza dei comuni all’iscrizione nei bilanci dei relativi stanziamenti. Nel tradizionale sistema finanziario borbonico i comuni gestivano bilanci esigui: poche entrate, minime spese e queste non sempre produttive. La nuova legislazione, sebbene fino alla legge quadro del 1865 incerta e talora scarsamente agibile, imponeva nuovi tributi e nuove spese obbligatorie. E le amministrazioni comunali, sia per la debole considerazione dell’interesse generale, sia per l’obiettiva deficienza di risorse patrimoniali, si opponevano alla legge.” (Gaetano Cingari, Storia della Calabria dall’Unità a Oggi, Editori Laterza, Roma – Bari, 1982, pp. 36-37).

Al fine di esplicitare in modo chiaro le profonde differenze sociali tra calabresi nel periodo storico sopra indicato si riporta il testo successivo: “Qual era la struttura della società calabrese all’indomani dell’Unità? In Calabria la distinzione tradizionale della società in clero, nobiltà e borghesia, non ha senso […] La distinzione era tra galantuomini e contadini. La nobiltà, scarsa, non viveva nella regione, e quella che ci viveva si interessava solo della rendita fondiaria. Non una nobiltà illuminata, come per esempio quella lombarda, che si poneva all’avanguardia del progresso sociale e civile, che esercitava attività imprenditoriali, che si interessava di commercio, di industrie, di bonifiche, di miglioramenti di colture e via di seguito. Le case dei nobili non rappresentavano certo centri di cultura. La nobiltà era una classe incolta e parassitaria. Pochi nobili, come Benedetto Musolino, Francesco Stocco, Antonino Plutino, esponenti del partito d’Azione, erano per un mutamento sociale, ma erano voci isolate, senza seguito, senza influenza sulla società circostante che non riuscivano a cambiare. Eppure, questa nobiltà, nel suo immobilismo, esercitava un potere di attrazione, in quanto tutta la borghesia ostentava nobiltà. Non solo i grossi proprietari, ma anche i piccoli, anche i poveri impiegati erano soddisfatti del <<don>> accanto ai loro nomi: residuo spagnolesco, vero orpello [ = finzione, esteriorità, apparenza, N.d.R.] alla miseria. Per il clero calabrese, credo sia sempre valida, anche per il periodo dopo il ’60, la divisione tra alto e basso. L’ alto clero, di estrazione sociale elevato, era conservatore, moderato, conformista, cioè secondo gli ordini gerarchici. Il basso clero, di estrazione sociale inferiore, era vicino alle classi umili da cui usciva e ne conosceva dolori e miserie, ma poteva poco fare, vittima anch’esso di un’amara realtà sociale. La borghesia come classe sociale a sé stante non esisteva: non aveva coscienza ed orgoglio di far parte di una classe sociale ben distinta. Tutti i borghesi volevano essere considerati nobili, galantuomini. Una borghesia attiva, intraprendente, fiduciosa nei propri mezzi e nel proprio lavoro, non l’abbiamo mai avuta. Forse l’inerzia non era tutta colpa di questa classe che sembrava aspettasse tutto dall’alto e mancava di iniziative e di intraprendenza. In Calabria mancavano tutte le strutture sociali, storiche e geografiche per una iniziativa individuale. Predominava la più completa sfiducia. Intanto tutto il peso lo sopportavano i contadini. Il solo ceto produttivo di ricchezza. La nostra era una società contadina. Tutti vivevano sulla terra: la terra la lavoravano i contadini, ma di tutte le ricchezze che producevano essi non vedevano neppure le briciole. Erano vere bestie da fatica, esseri inferiori, cui nulla era dovuto. Galantuomini e contadini erano separati da un abisso. La fame di terre, che caratterizza gran parte di ogni movimento contadino calabrese, non è solo indice del desiderio di un pezzo di terra proprio, dove lavorare e morire, ma anche aspirazione a cambiare ceto sociale” (Domenico De Giorgio, Classi Sociali e Partiti Politici in Calabria dopo l’Unità, in ‘Deputazione di Storia Patria per la Calabria, Aspetti e Problemi di Storia della Società Calabrese nell’Età Contemporanea, Atti I Convegno di Studio – Reggio Calabria- 1-4 Novembre, 1975, pp. 23-24). Le note precedenti danno conto di una società calabrese molto differenziata al suo interno e solo pochi s’impegnavano verso un effettivo mutamento della tradizionale struttura sociale.

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