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Dopo Marrakech l’Italia persiste nella sua posizione: si era defilata allora per rimettersi alle decisioni del Parlamento italiano, lo ha rifatto nei giorni scorsi rinviando a data da destinarsi ogni decisione sul Global Compact. Mentre l’Assemblea delle Nazioni Unite votava a larga maggioranza per “una migrazione sicura, ordinata e regolare”, il nostro Paese ha scelto l’astensione. Invece esprimeva voto favorevole sul documento concernente i rifugiati. Per quanto attiene al patto sulle migrazioni, la Camera dei deputati aveva già votato la mozione di maggioranza che impegnava il governo a procrastinare la scelta concernente l’adesione dell’Italia: 277 voti a favore della mozione di 5 Stelle e Lega, 224 contrari. C’è stato un ulteriore rinvio dell’Italia sull’approvazione del patto globale delle Nazioni Unite su cui, invece, si sono espressi da subito a favore il primo ministro Conte, il presidente della Camera Fico, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Papa Francesco ha lodato, poi, l’accordo internazionale dell’Onu in occasione della benedizione domenicale in Piazza S. Pietro. Le opposizioni di destra e di sinistra hanno assunto posizioni alquanto variegate a seconda che si vada dalla destra alla sinistra: Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia si è dimostrata decisa fin dalle prime battute parlamentari a non far sottoscrivere il documento; la mozione del Pd è stata favorevole per l’adesione. Questo il quadro politico-istituzionale.
A mio avviso, l’Italia continua a non fare una bella figura; a ben vedere, però, alcuni sondaggi rappresentano il punto di vista diversificato delle figure istituzionali e della società. E ancora, in certi settori dell’opinione pubblica esistono preoccupazioni e problematiche di natura economico-sociale che ostacolano la cultura dell’accoglienza e dell’integrazione. Il dibattito politico si polarizza e le diverse posizioni diventano contrastanti. Ognuno ignora l’altro senza possibilità dialettica. I diritti uguali per tutti vanno a farsi benedire. Una politica cosiffatta non ce la fa ad affrontare i fenomeni epocali senza acquisire la capacità di un cambio di passo, magari tenendo presente le ricerche delle università che da decenni indagano sulle migrazioni. Quando non si riesce si cade (o si scade) nel nazionalismo o nell’identitarismo. Anche le tradizioni religiose possono essere usate strumentalmente come è avvenuto per il presepe a Natale. Salvo ad essere spiazzati da fatti che succedono drammaticamente nella realtà. E allora abbiamo visto tutti (cattolici e non; nazionalisti e non) il presepe vivente in mezzo al mare, grazie all’azione di salvataggio della Proactiva Open Arms. Ho letto pezzi veramente belli su Avvenire.it, pagine importanti che hanno suscitato, almeno in me, forti emozioni. Una nuova spiritualità si è formata, nell’approssimarsi del 25 dicembre, con l’avvento dell’organizzazione non governativa spagnola che ha salvato SEM, il bambino partorito “al freddo e al gelo” sulla spiaggia libica prima di essere imbarcato”. Racconta il giornale: “Sem tremava dal freddo. Completamente nudo, il cordone ombelicale tagliato chissà come (…), un elicottero maltese ha issato a bordo la donna e il bambino, per condurli in un ospedale de La Valletta”. I segni premonitori di quest’ altra natività si intravedevano quando, due anni fa, Malta donò un presepe al Papa, allestito in Piazza S. Pietro e caratterizzato da un elemento rappresentativo nuovo, la tragedia dei migranti, oltre quelli della tradizione: “Un luzzu, una barca di legno carica di reti”. Altri presepi con i migranti in Italia: nella Basilica di Assisi nel Natale del 2015, nella Chiesa madre di Arcore l’anno scorso, nella Casa della Carità a Milano quest’anno”. È un’altra natività, contemporanea, che ravviva la tradizione. A Maria e a Giuseppe negarono ospitalità. E allora il Vangelo di Luca ci tramanda: “Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Avvenire.it).
E il saggio Accoglienza di Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, oggi cardinale, mi chiarisce tanto sulle problematiche attuali dei migranti. Il teologo e filosofo parte dal latino per spiegare nel profondo il termine accoglienza; da colligere che significa: “Raccogliere, prendere, ricevere e mettere insieme (…) stabilire il nesso tra più cose e parole in modo da produrre ordine, organicità, (…) [la parola] è evocata specialmente nel suo tendere all’unificazione”. E ancora il latino per capire storia, filosofia, teologia, sociologia: “E’ l’altro che fa esistere (ex-sistere, star fuori): l’identità non si definisce mai a sé stessa senza accogliere l’apporto dell’alterità. Per comprendere il significato più profondo dell’accoglienza non basta, dunque, la riflessione sull’identità: occorre aprirsi al valore decisivo dell’alterità, condizione della definizione del sé”. Il teologo passa successivamente ai contributi, dal Giudaismo al Cristianesimo: “Identità e alterità ci coappartengono nell’atto dell’accogliersi. Basti pensare a come la fede di Cristo si fondi sull’accoglienza del Divino Altro, che -venuto tra noi- non cessa di affacciarsi attraverso la pluralità dei volti che domandano amore”. E il passo del testo evangelico secondo Matteo: “…Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? (…). In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Cristo si identifica con “l’altro”. L’io e l’altro sono strettamente legati. “L’alterità è lo stimolo a (ri)scoprire l’identità nell’atto di accogliere”.