La guerra dei dazi

Scritto da  Pubblicato in Filippo Veltri

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filippo_veltri_5ff57_1ef52_5ec74_7b203_3a116_7fd84_7e9c5_66d93_fd7b2_248e9_9f1b6_d9501_8bd44.jpgSe il nostro settore agroalimentare rischia la catastrofe la colpa non è di Donald Trump e del suo protezionismo, ma…dell’Unione europea. È quanto vanno dichiarando le menti più brillanti del sovranismo di casa nostra in base al seguente sillogismo: i dazi su parmigiano, pecorino romano, prosciutti e altre delikatessen italiane sono una reazione agli aiuti di stato all’Airbus, l’Airbus è sostanzialmente un affare franco-tedesco (noi collaboriamo piuttosto con la Boeing), ergo la colpa di quello che ci sta per succedere è della Francia e della Germania. Un altro maleficio dell’asse del Reno, dell’Europa carolingia, dell’Europa tout court.

Chi ragiona (?) in questo modo dovrebbe chiedersi, però, il motivo vero del fatto che per punire Frau Merkel e Monsieur Macron, the Donald spari nel mucchio e danneggi, alla fine, anche noi, che pure non gli abbiamo fatto mancare profferte di amicizia, con il governo precedente e – ahimé – anche con quello presente. E – doppio ahimé – anche durante la recentissima visita che, con un certo disinvolto esercizio di arroganza, il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha compiuto a Roma proprio mentre scattava l’offensiva.

Perché anche noi, dunque? Il motivo è uno e semplice. La mitragliata di dazi contro l’Italia obbedisce alla logica militare di una guerra che l’attuale amministrazione Usa ha dichiarato e sta combattendo non contro questo o quel paese, ma contro l’Unione europea in quanto tale. Quando si ha un nemico –dice questa logica- è buona tattica colpirlo in tutte le sue componenti e se se ne individua una particolarmente debole è bene concentrarsi là per disarticolare il fronte avverso.

È esattamente quanto stanno facendo i signori della guerra di Washington, con l’avallo del WTO dal quale (ironia se non proprio della storia almeno della cronaca) Trump fino all’altro giorno minacciava di uscire perché perseguirebbe politiche “sbilanciate” nei confronti degli interessi americani. È tutta l’Europa sotto il fuoco americano, tant’è che l’agroalimentare e il lusso francesi stanno rischiando quanto e forse più dei nostri e che, soprattutto, nel mirino delle rappresaglie presto dovrebbero entrare le auto tedesche. Il bersaglio più grosso che, se e quando verrà centrato, sarà la rovina per una bella fetta della nostra produzione di indotto, visto che ogni macchina made in Germany ha in pancia un buon 30% di componenti made qui da noi, tra Lombardia, Veneto e Emilia.

La questione, dunque, va rimessa sui piedi. Dietro la guerra dei dazi, anzi: dietro tutte le guerre dei dazi che l’amministrazione Trump sta combattendo, anche quella contro la Cina, c’è l’ideologia dell’America first, ed è quello che in altri tempi, quando ci si faceva meno scrupolo di usare parole forti, si chiamava imperialismo. Se l’Europa risponde dividendosi lungo le linee di faglia degli interessi particolari (l’Airbus è franco-tedesco, Mercedes e Volkswagen non sono roba nostra e via così) è persa.

La risposta, allora, non può che essere quella di rinserrare le fila. All’inizio dell’anno prossimo dovrebbe arrivare al WTO la vertenza gemella e opposta sugli aiuti all’industria aeronautica: anche alla Boeing sono arrivati un bel po’ di soldi pubblici americani. Oltretutto, a differenza di quanto è avvenuto con Airbus (per quanto se ne sa) quegli aiuti sono arrivati soprattutto per la ricerca e l’innovazione di componenti belliche.

È più che mai necessario che a quella scadenza l’Unione si presenti unita, evitando che i singoli paesi facciano giocare interessi particolari nelle ritorsioni che dovranno essere messe in campo contro gli Stati Uniti. C’è da sperare che il governo italiano ne sia sufficientemente consapevole. E poi c’è la vertenza con la Cina sul G5, altro capitolo su cui il decoupling degli interessi americani ed europei potrebbe portare a un conflitto disastroso.

Sarebbe un tragico errore strategico se, magari senza dichiararlo e magari senza neppure accorgersene, il governo di Roma pensasse di poter giocare in proprio la partita con l’amministrazione di Washington. L’inquilino della Casa Bianca spesso è imprevedibile e il suo endorsement a “Giuseppi” ne è stato una prova che ha fatto molto soffrire la corte dei sovranisti di casa nostra e forse acceso qualche speranziella di dialoghi privilegiati al di qua della barricata. Ma nella sua tetragona concezione della preminenza degli interessi americani Trump è prevedibilissimo. La guerra all’Europa continuerà e sarà sempre più dura. L’Unione deve rispondere: à la guerre comme à la guerre.

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