© RIPRODUZIONE RISERVATA
La Calabria nella seconda metà del Settecento: il movimento riformatore
Scritto da Lametino 5 Pubblicato in Francesco Vescio© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il secolo XVIII in Europa è considerato, quasi per antonomasia, il secolo delle riforme; nel presente scritto si cercherà di delineare negli aspetti più rilevanti i vari tentativi di riforme effettuate dal re Ferdinando IV di Borbone ed, in particolari, le ripercussioni che ebbero in Calabria; inizialmente ci si soffermerà sull’Illuminismo e sulle sue spinte innovatrici che si manifestarono in diversi Paesi europei, poi brevemente sulle azioni riformiste in Italia ed, infine, su quelle intraprese dalla monarchia borbonica nel Regno di Napoli ed, in modo particolare, nella nostra regione. Nel brano successivo vengono evidenziati i punti salienti delle tendenze riformatrici illuministe nell’Europa del Settecento: “La scoperta che determinate forze ed istituzioni sociali basavano il loro potere e il loro prestigio prevalentemente sull’ignoranza e sui pregiudizi diffusi tra gli uomini diede all’impegno culturale degli illuministi un significato globale, di lotta per la liberazione dell’uomo. Quel movimento di idee non voleva essere in senso stretto un movimento borghese, né rispecchiare o prefigurare rigidamente lo sviluppo capitalistico. Ma gli illuministi dichiararono la loro fiducia nella ‘classe media’, nell’operosità e nello spirito di iniziativa, che erano prerogative della borghesia, e non riconoscevano, o rifiutavano con veemenza, le ‘virtù’ tradizionali della nobiltà, la nascita e l’ozio. La loro concezione dell’uomo, della società e dei rapporti tra l’uomo e la natura era aperta, rifiutava molti limiti artificiali imposte dalle classi dirigenti tradizionali nel campo della morale, tendeva ad affermare la libertà e la dignità dell’individuo e sosteneva una ricerca di soluzioni dei problemi sociali non condizionata da pregiudizi ma guidata dalla ragione e dal metodo scientifico. Per queste sue caratteristiche generali, l’ideologia illuministica poteva essere fatta propria dalle forze che aspiravano a cambiare la struttura sociale e l’ordinamento politico, e quindi soprattutto dalla borghesia. In pratica, l’illuminismo era in antitesi con la permanenza del sistema feudale, mentre i suoi princìpi fondamentali si conciliavano con l’affermazione del capitalismo, col progresso tecnico-scientifico, con la libertà di iniziativa e con lo spirito progressivo” (Rosario Villari, Mille Anni di Storia- Dalla Città Medievale all’Unità dell’Europa, Laterza, Roma- Bari, 2000, pp.306-307).
La cultura illuminista gradualmente penetrò, con esiti diversi tra i singoli Stati italiani del tempo, per come viene esposto nel testo che segue: “Era allora la Francia alla testa del movimento intellettuale europeo: Voltaire, Montesquieu, Diderot, Helvetius, Holbach, d’Alembert e l’Enciclopedia ( 1750-1780) lavoravano ad aprire la strada alle legioni di Bonaparte. I filosofi avevano già conquistato il Belgio e l’Olanda, la Germania e l’Italia quando gli eserciti repubblicani attraversarono il Reno e le Alpi. V’era dappertutto, nello sviluppo imponente del mercantilismo, un vago desiderio di novità, politiche in un paese, sociali in un altro, e in un altro ancora religiose. La Massoneria, ch’era sorta o si era riorganizzata in Inghilterra al principio del secolo, contribuì non poco, anche nel nostro paese, specialmente in Sicilia, a Napoli, a Firenze, mete preferite dai viaggiatori britannici, a creare tra le classi elevate una coscienza rivoluzionaria. Più tardi si aggiunse, e con intenti più democratici, la Massoneria francese. Il mondo voleva svecchiarsi e, poiché la vecchiaia qui era rappresentata soprattutto dalla Chiesa, appunto contro la Chiesa e la sua milizia, cioè contro i Gesuiti, si rivolse dapprima il movimento riformatore. Lo guidavano i principi, o per verace desiderio di bene o per ambizione di apparire ‘illuminati’ o perché sfrondando il vecchio tronco feudale, presumevano di accrescere il proprio potere. L’assolutismo monarchico si appoggiava al filosofismo riformistico. Seguiva il principe un piccolo manipolo di persone colte, nobili, borghesi ed ecclesiastici, che costituivano la cosiddetta opinione pubblica, di cui era organo il libro, come, oggi, in tempi di democrazia, il giornale: il popolo, plebe in gran parte, rimaneva indifferente o contrario” (Francesco Lemmi, Storia d’Italia fino all’Unità, Sansoni, Firenze,1965, p.287). In tale contesto storico e culturale dell’Europa e d’Italia, in modo più specifico, va inserita l’azione riformatrice della dinastia borbonica nell’Italia meridionale, per come indicato nel passo successivo: “Nel 1759 Carlo III passò sul trono di Spagna e gli successe a Napoli il figlio Ferdinando (IV di Napoli e III di Sicilia), fanciullo di otto anni. Continuò quindi a governare il Tanucci [Questi, studioso e politico toscano, era stato già consigliere e ministro del re Carlo III, N.d.R.] sotto la sorveglianza della corte di Madrid, donde Carlo III mandava consigli e comandi. In quegli anni furono espulsi i Gesuiti […] Nel 1767 il Re uscì di minore età, e l’anno seguente sposò Maria Carolina d’Austria. Ferdinando non era cattivo e non mancava di certo grossolano buonsenso. Figlio di uno spagnolo, fu napoletano di lingua e di gusti, e perciò, al pari dei suoi successori, godette di larga popolarità tra la plebe […] Maria Carolina, figlia di Maria Teresa e sorella di Giuseppe II e di Pietro Leopoldo, principi riformatori per eccellenza, era giunta a Napoli tutt’altro che maldisposta verso il movimento iniziato o favorito dal Tanucci: anzi gli diede un impulso più vigoroso. Nelle logge massoniche, allora introdotte da viaggiatori inglesi, i fratelli [ Da intendere: i membri della Massoneria, N.d.R.] inneggiavano alla Regina illuminata, amica dei filosofi; e Guglielmo Pepe [ Famoso patriota calabrese ( Squillace 1783- Torino 1855) combatté con le truppe napoleoniche e prese parte alle lotte risorgimentali, N.d.R.] afferma che essa pure fu iniziata all’Ordine, cosa del resto non inverosimile [...] La giovane monarchia, animata da un soffio di vita nuova, famosa per ingegni eletti che tenevano degnamente il loro posto in Europa ( basti ricordare Giuseppe Palmieri, Antonio Genovesi e Gaetano Filangieri) sembrava aspirare, dalla sua privilegiata posizione geografica, a conquistarsi la supremazia in Italia, a raccogliere l’eredità di Genova e di Venezia e ad estendersi magari sulle vicine coste dell’Africa” ( Francesco Lemmi, Ibidem, pp.290-292 ). Delineato il clima culturale illuministico dominante alla corte ed i suoi indirizzi politici di lungo termine e di ampi orizzonti, di seguito si cercherà di indicare, negli aspetti essenziali, quale fu la partecipazione dei calabresi al movimento riformista; nel brano successivo vengono esposti vari legami che si vennero ad intrecciare tra la corte napoletana ed esponenti di rilievo della cultura calabrese del tempo: “L’appoggio della regina Maria Carolina apriva nuove prospettive di riforma [ Oltre a quelle attuate da Carlo III, ad esempio il catasto onciario, che tendeva ad ammodernare il sistema fiscale del Regno, N.d.R.], le logge massoniche istituivano più saldi vincoli di solidarietà fra gli allievi di scuola genovesiana, e fra capitale e province.
Ne erano testimonianza i viaggi di Antonio Jerocades, nel decennio 1770-1780, fra Parghelia, Marsiglia, Napoli, dove tratteneva fitti contatti con intellettuali e riformatori, in particolare con tanti calabresi […] A instaurare stretti rapporti di studio e di informazione con le province tese anche la Reale Accademia delle Scienze fondata nel 1779, i cui statuti invitavano i soci sparsi in tutto il territorio nazionale a farsi ‘esploratori della storia naturale… relatori dello stato delle arti, de’ mestieri, dell’agricoltura e della pubblica economia delle Provincie,…ricercatori degli antichi monumenti’. Tempi nuovi si aprivano dunque negli anni Ottanta, anzi una vera e propria svolta. Il sovrano nazionale si faceva direttamente promotore di tutte le conoscenze a ‘reggere Popoli’ […] Gli intellettuali entravano nelle sedi di governo, si costituiva un nuovo ceto politico di formazione universitaria, economica, tecnica, reclutato per le sue competenze, e al di fuori della tradizionale carriera forense […] La Calabria, con i suoi fitti e molteplici legami politici e intellettuali e di governo della capitale, appariva quanto mai partecipe del generale fervore di rinnovamento dei primi anni Ottanta ” [ ( Anna Maria Rao, La Calabria nel Settecento, in ‘Storia della Calabria Moderna e Contemporanea – Il Lungo Periodo ’, Gangemi Editore, Roma – Reggio Cal., 1992, pp.361-363). Il fervido movimento riformatore illuminista coinvolse molti uomini colti calabresi, ma penetrò poco fra i ceti popolari, la cui stragrande maggioranza, purtroppo, era analfabeta e lontana dai libri, strumenti fondamentali della diffusione della cultura illuminista.