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Non v’è punizione più crudele che negare la vista dei volti. Per secoli il volto è stato ritenuto lo specchio dell’anima, come diceva Cicerone. Intorno alla vista del volto è nata una vera e propria mistica delle sembianze. Nell’atteggiarsi dei lineamenti siamo stati educati a leggere l’intimo di ciascuno di noi, a scrutare l’ineffabile in ogni percezione. Eppure, da quando il virus ha invaso le nostre vite, ci è negata la gioia della visione dei volti. Quel che avevamo criticato di certe sette islamiche, facendone una battaglia di civiltà dell’Occidente emancipato, ci ritorna sotto forma di nemesi.
Il nascondimento del volto, da immorale che era, diviene ora normativo, obbligatorio. Un’intera generazione, forse per anni, sarà privata della vista dei volti. Non conoscerà più la mimica. Non sentirà più il conforto di un sorriso, la paura di un ghigno. Vi sarà sempre una fredda maschera, non ad intrigare, come nel carnevale o in un gioco erotico, ma a negare l’accesso al profondo. È come se un grande paradigma relazionale fosse stato spazzato via in poco tempo. Non varranno più gli insegnamenti degli etologi, come quelli del grande Desmond Morris (“La scimmia nuda”), che dal mutare dei volti sapevano trarre i cambiamenti nelle intenzioni degli uomini. Dovremo imparare a leggere dietro una maschera. E saranno guai seri. Perché nulla si disvela realmente senza un indizio, un enigma, un sembiante. Dovremo imparare a conoscere l’anima senza più il suo specchio.