di Alessandra Renda.
Serrastretta - Ha apparecchiato la tavola con la più bella collezione di “menorah” (candelabri della tradizione ebraica) e ci ha invitato nuovamente nella sua Sinagoga di Serrastretta, questa volta per celebrare “Il seder di Pesach”, ovvero la Pasqua ebraica. Rabbi Barbara Aiello, la prima rabbina donna riformata d’Italia, è di rientro dagli Stati Uniti, dove è nata e dove si reca periodicamente per far rifiorire il giudaismo. Nel 2006 a Serrastretta, paese d’origine dei suoi antenati, ha fatto poi sorgere “Ner Tamid del sud”, un punto di riferimento per tante famiglie che non sapevano di avere antenati calabresi e tradizioni ebraiche. Così nella sua Sinagoga, che ogni anno ospita tanti stranieri ma anche italiani curiosi di riscoprire le proprie origini, ha raccolto le persone a lei più care per celebrare la Pasqua.
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La festività ebraica dura otto giorni e ricorda la liberazione del popolo israelita dall’Egitto e il suo esodo verso la Terra promessa. “La Pasqua cristiana - ci ricorda Rabbi Barbara - seppur con nuovi significati – presenta molte analogie con quella ebraica”. Il suo compito, in questo piccolo paesino nel cuore della Calabria, è chiaro: “Non fare proselitismo ma solo aiutare chi lo desidera a ricostruire la storia e le radici della propria famiglia”. Ed è per questo che ci ribadisce come le sue attività siano sempre state ben accolte dalla comunità di Serrastretta e anche dalla Chiesa cristiana.
Ovunque essa sia celebrata, la “Pesach” (in ebraico “passare oltre”), rimane un’occasione per gli ebrei di tutto il mondo di riunirsi con le proprie famiglie ricordando il passato e trasmettendone in particolare memoria alle nuove generazioni. “Su un vassoio - ci spiega Rabbi Barbara - vengono posti alcuni cibi simbolici. Durante questo periodo eliminiamo ogni minima traccia di lievito e qualsiasi alimento che ne contenga, consumando invece “matzah”, ossia il pane azzimo che ricorda quando gli ebrei, nella fretta della fuga, non ebbero il tempo di far lievitare il pane; ma anche l’erba amara, che simboleggia l’amarezza della schiavitù, l’agnello il sacrificio pasquale, l’uovo sodo l’eternità della vita, il “charoset” (marmellata di noci, prugne, mele e miele) invece, rappresenta la calce che gli schiavi ebrei utilizzavano per fare i mattoni, mentre il sedano la freschezza della primavera”. Abbiamo così seguito Rabbi Barbara e suoi commensali in questa cena ricca di simbologie, che è stata anche inframezzata dai canti e dalla lettura dell’“Haggadah”, testo che narra la storia dell’Esodo. “Una celebrazione questa - aggiunge ancora Rabbi Barbara - che di generazione in generazione rafforza l’identità del popolo ebraico”.
Tra gli ospiti incontriamo anche Antonio, 39 anni, di Taranto, che ha deciso di intraprendere questo nuovo cammino spirituale seguendo periodicamente gli insegnamenti dell’Aiello in Sinagoga. E il radicamento di Rabbi Barbara in terra Calabra è stato fondamentale pure per Enrico, suo marito, che quando la conobbe negli anni ’70, ricostruendone usi e costumi, capì che in passato la sua famiglia praticava proprio il culto ebraico, del quale però nel tempo si era persa memoria. “Quando Rabbi Barbara raggiunse l’Italia e poi Serrastretta insieme a suo padre, dai suoi vari racconti – aggiunge - ricostruii anche io che mia nonna non era cristiana ma ebrea. Da allora Barbara ha iniziato la sua missione in Calabria, quella di aiutare le persone, senza obbligare o fare proselitismo, a riscoprire un passato che è stato spesso forzatamente cancellato”.
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