Inossidabile il metodo del generale Dalla Chiesa; ha funzionato anche questa volta per l’arresto di Matteo Messina Denaro, indagato come stragista sanguinario. Lo ha dichiarato il generale Pasquale Angelosanto, Comandante dei Ros (Raggruppamento operativo speciale dell’Arma dei carabinieri), il 17 gennaio scorso su la Repubblica: “La sua lezione era fondata su due pilastri: lo studio dei fenomeni e l’attività dinamica di controllo sul territorio. (…) Dalla Chiesa aveva anche sottolineato l’importanza della tecnologia”. Un altro generale, Giuseppe Governale, anch’egli comandante dei Ros nel 2015 e direttore della Dia (Direzione investigativa antimafia) dal 2017 al 2020, nel suo interessante libro, Sapevamo già tutto, edito da Solferino, 2021, rivela la capacità di coordinamento e la valenza operativa dell’allora colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa, comandante della Legione dei carabinieri di Palermo tra il 1966 e il 1973: “[Dalla Chiesa] era un comandante atipico. […] Esercita fino in fondo le sue prerogative funzionali. […] Finisce così per imporre il suo ritmo, che è quello di far svolgere un’azione investigativa efficace, ponendo a sistema il maggior numero di informazioni possibili, […] cercando di ricondurle a unitarietà” (p. 146). Fin dagli anni ’50 la mafia palermitana era diventata pervasiva, penetrando nelle pubbliche amministrazioni (comune, provincia, regione …). Capacità di coordinamento delle indagini e produzione informativa importante consentirono “valutazioni efficaci e lungimiranti” consegnate alla Commissione parlamentare antimafia. Il risultato concreto fu il “Rapporto giudiziario dei 114” nel 1971, appunto il numero degli indagati, di cui 76 rinviati a giudizio. In realtà i rapporti erano 4: Il primo del 6 giugno firmato da sei ufficiali dell’Arma e sei della Polizia, firma congiunta di Dalla Chiesa e del questore di Palermo Li Donni. Una lucida analisi della criminalità palermitana. Seguirono gli altri. In particolare, nel terzo viene indagato il traffico internazionale di droga. Dalla Chiesa “sapeva già tutto” era avanti nella sua visione del crimine mafioso “negli anni in cui tanti continuavano a dire che la mafia in Sicilia non esisteva”. I rapporti rivelano una conoscenza approfondita del fenomeno criminale mafioso: “Una conoscenza certamente non teorica, corroborata dall’utile apporto delle fonti e dalla penetrazione informativa, la raccolta cioè di elementi documentali, e del sentito dire, resa ardua da un’omertà della gente quasi istintiva, innata” (p.158). Ecco il metodo Dalla Chiesa, efficace ancora oggi, dopo mezzo secolo, come evidenziato dalla conferenza stampa dell’Arma dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro: “Un’indagine di questo tipo si sviluppa sempre su livelli diversi. C’è quello tecnico soprattutto con le intercettazioni. Quello dinamico, con i pedinamenti e i controlli sul territorio. E quello informativo, per valutare qualsiasi spunto possa contribuire a integrare il quadro delle ricerche. In questo caso ci hanno colpito le discussioni che familiari e fiancheggiatori facevano su una specifica patologia oncologica”. In un’altra intervista il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia ha sottolineato l’importanza di alcune ricerche particolari messe in atto, considerati i problemi fisici dell’indagato: “Gli accertamenti condotti su alcuni dati clinici ci hanno consentito di identificare un soggetto il cui profilo corrispondeva a quello del latitante”.

Dalla Chiesa “sapeva già tutto”; Dalla Chiesa sapeva di correre seri rischi quando venne nominato prefetto in Sicilia nell’aprile del 1982.  Alcuni stralci del suo diario, parlando idealmente alla prima moglie Doretta (Dora Fabbo) deceduta, tratti da La Stampa del 14 novembre 1985: “la verità è che in poche ore sono stato catapultato […] in un ambiente infido, ricco di un mistero e di una lotta che possono anche esaltarmi, ma senza nessuno intorno, e senza l’aiuto di una persona amica, senza il conforto di avere alle spalle una famiglia. Mi sono trovato d’un tratto in casa d’altri e in un ambiente che da un lato attende dal tuo Carlo i miracoli e dall’altro va maledicendo la mia destinazione e il mio arrivo. Mi sono trovato, cioè, al centro di uno Stato che affida la tranquillità della sua esistenza non già alla volontà di combattere e debellare la mafia e una politica mafiosa, ma all’uso e allo sfruttamento del mio nome per tacitare l’irritazione dei partiti, pronti a buttarmi al vento non appena determinati interessi saranno o dovranno essere compressi”. Dalla Chiesa “sapeva già tutto”, addirittura che sarebbe diventato vittima sacrificale; venne ucciso per mano mafiosa in pieno centro a Palermo. È sopravvissuto, però, il suo metodo d’indagine che ha permesso la cattura di Matteo Messina Denaro. Non ci crederete, ma il giorno dell’arresto ho visto il Generale sorridere compiaciuto. Mah, saranno gli scherzi visionari dell’età che avanza.