Della guerra

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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Lucio Caracciolo nell’editoriale di Limes del mese di aprile, con il titolo in copertina Fine Della Guerra, ha scritto sui conflitti dell’Ottocento e dei secoli successivi. A fianco al titolo la spiegazione: Conflitti infiniti perché senza scopo sono la malattia dell’Occidente. Solo il ritorno alla politica ci salverà. Sotto, l’annuncio dell’XI Festival di Limes che si è svolto a Genova, al Palazzo Ducale, dal 10 al 12 maggio con lo stesso titolo: Fine Della Guerra. Nella prima giornata di conferenza l’intervento di Caracciolo che richiama passi dell’editoriale. Si possono vedere e ascoltare gli interessanti interventi su YouTube. L’incipit sembra letteratura, un racconto: “C’era una volta la guerra continuazione della politica con altri mezzi”. Ma immediatamente torna al presente sanguinario con una domanda: “Cosa ne resta, senza politica? La guerra autonoma. Scopo a sé stessa. Violenza illimitata. Irrazionale”. Se prima la guerra era una prosecuzione della politica con altri mezzi, oggi non è più così; oggi è un atto di forza che potrebbe essere illimitato.

Mi ha colpito la ricca interdisciplinarità: antropologia, filosofia, letteratura, ideologia, storiografia, politica. In tal modo la geopolitica diventa complessa. Inizia con Della guerra, trattato di antropologia e di arte politica di Carl von Clausewitz, generale prussiano; l’opera è considerata dai militari come manuale tecnico di combattimento. Mentre il direttore di Limes lo accosta alla Fenomenologia della Spirito di Hegel: “È degno di affiancare la Fenomenologia dello spirito dell’altrettanto prussiano suo contemporaneo, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, salvo rovesciarne il senso perché non espone il compimento della storia quale progetto divino ma ne annuncia forse inconsciamente la sovversione”. Entrambi si trovavano a Jena quando Napoleone sconfisse l’esercito prussiano il 14 ottobre del 1806: Clausewitz fu catturato; il filosofo di Stoccarda dalla finestra vide “l’anima [lo Spirito] del mondo a cavallo”.

L’autore del trattato non lo considera un sistema: “Non abbiamo da offrire che frammenti”. Ma René Girard, antropologo e critico letterario francese, farà emergere “il nucleo nascosto”, ovvero la separazione tra guerra e politica; nessun legame tra i due momenti. In realtà Clausewitz l’aveva percepito nel seguente passaggio: “Confermiamo, dunque, la guerra è un atto di forza, all’impiego della quale non esistono limiti. (…) Ne risulta un’azione reciproca che logicamente deve condurre all’estremo. (…) L’uso illimitato della forza è sintomo della tendenza all’estremo che da fine Settecento accelera il corso della storia. E determina una continuità dello scontro bellico attraverso <<l’azione reciproca>> mossa dal desiderio mimetico dei contendenti. Botta e risposta. Allargabile all’infinito, per imitazione: violenza chiama violenza”. Girard aveva sviluppato la sua tesi sul mimetismo attraverso lo studio dei romanzi di Cervantes, Proust, Dostoevskij: “L’imitazione è il motore delle relazioni tra umani in quanto si riconoscono simili. Spinge ad apprendere, ma anche a combattersi per il desiderio dell’oggetto altrui”. Della guerra è un trattato di natura apocalittica.

Il titolo del mensile di Limes, Fine della guerra, è volutamente senza l’articolo determinativo; al limite, si sarebbero potuti mettere tra parentesi “il o la”, intendendo, a seconda del contesto, il fine, lo scopo, o la fine, la cessazione del conflitto. A Lucio Caracciolo interessano sia il fine sia la fine della guerra: “La geopolitica obbliga a contemplare il conflitto dall’alto (…) e di qui a calarsi per gradi (…) sul terreno disputato, misurando la posta in gioco, intenzioni e risorse dei protagonisti. L’esercizio geopolitico educa al limite. Frena le pulsioni più sconsiderate dei contendenti, mentre li include mimeticamente, in ossequio al principio di realtà”. Il direttore responsabile del mensile sostiene che la geopolitica evidenzia l’occidentalizzazione del mondo iniziata dopo la Rivoluzione francese con Napoleone Bonaparte, “sviluppata con le britanniche guerre dell’oppio, le imprese coloniali di potenze europee verso la civilizzazione delle razze inferiori, culminata nella formazione del mercato mondiale delle merci e dei capitali sotto l’egida americana”.

Già anticipata nel 1848 da Karl Marx e Friedrich Engels quale segno distintivo della società borghese nel Manifesto del Partito Comunista:<<La borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi tutto l’insieme dei rapporti sociali. (…) Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre>> (…) Sostituiamo <<borghesia>> con <<Occidente>> e scopriamo la dinamica geopolitica”.  Si è creato “il miraggio dell’occidentalizzazione del mondo quale fine (al maschile e al femminile) della storia umana”. Un contagio diffuso della sindrome di Clausewitz - Girard: “L’occidentalizzazione dell’umanità è figlia dell’imitazione dei non occidentali; si è generato un movimento doppio: il centro cerca le periferie; le periferie cercano il centro in vista del duello”.

Secondo Caracciolo, C’è un’altra prospettiva, sempre disastrosa: “Se invece di procedere verso il trionfo la storia marcia a caso o in tondo, la tendenza all’estremo si radicalizza fino al parossismo. E produce guerre potenzialmente infinite perché infinibili. In senso doppio senza scopo e senza termine. Si balla. Siamo sull’orlo di un vulcano. Siamo nell’era della proliferazione delle armi di distruzione di massa, non solo nucleari”. Migliaia di bombe atomiche sono in grado di distruggere intere regioni del mondo. E allora: “L’improbabile occidentalizzazione del mondo scade in deoccidentalizzazione dell’Occidente. Soprattutto in deamericanizzazione dell’America. A forza di esportare libertà e democrazia con guerre preventivo-educative regolarmente fallimentari. (…) Eppure noi occidentali continuiamo a concepire le guerre come estrema risorsa del progresso di cui ci siamo intitolati l’esclusiva”.   

Arriva al presente drammatico e problematico Caracciolo: “Ma più noi occidentali invecchiamo, più soffriamo di mimetismo diacronico. Imitiamo i nostri condottieri d’antan, senza temere il ridicolo. È il caso di Emmanuel Macron in mantello napoleonico pronto ad una campagna militare contro la Russia”. Senz’altro più pacifico e concreto nell’ultima campagna elettorale transalpina come dimostrano i risultati delle urne, ribaltando i dati della prima tornata e quanto sostenuto da sondaggisti e opinionisti. Al contrario, con il protagonismo militare si ottiene un avvitamento irrazionale con la “proliferazione dei conflitti senza fine (…) secondo due tipologie”: la guerra di prossimità in Ucraina e la guerra di Israele contro Hamas. E Caracciolo torna a suo modo alla Fenomenologia dello Spirito di Hegel per spiegare l’uso dei clienti (proxies) o dei mercenari facendo riferimento alla dialettica servo/padrone: “[Quando] il padrone si scopre dipendente dal lavoro del servo”. Mi fermo per non appesantire la lettura. Le altre 15 pagine, corredate dalle cartine geopolitiche, meritano attenzione approfondita e riflessione sul drammatico presente.

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