di Francesco Sacco
Lamezia Terme – Less is more. A volte, meno è di più, come sosteneva l’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe, tra i grandi maestri del Modernismo, nonché direttore della Scuola Bauhaus di Berlino. Una teoria adottata da diverse sfere del mondo dell’arte, dal design alla scrittura, passando per cinema e, soprattutto, musica, non solo per via del tributo al movimento dell’omonima band goth guidata da Peter Murphy. Anche il concetto di unplugged, in un certo senso, potrebbe derivare da determinate linee guida, applicate alla pop music, in particolare, a partire dagli anni ’90, decennio che vide l’affermazione degli MTV Unplugged, concerti in chiave prevalentemente acustica che daranno poi vita ad alcuni degli album più amati del decennio. Persino da un classe 2001 come Luigi Strangis, la cui formazione musicale deve molto anche all’ormai leggendario set dei Nirvana ai Sony Studios di New York sul finire del ‘93, pubblicato l’anno successivo, pochi mesi dopo la morte di Kurt Cobain. Un riferimento importante, a detta dello stesso cantautore lametino, che lo ha ispirato a intraprendere un minitour dai grandi numeri, concluso sabato sera, dopo Milano e Roma, nella sua Lamezia Terme per la trentottesima edizione di “Fatti di Musica”. Accompagnato dall’affiatata sezione ritmica composta da Luca Monaldi (batteria e percussioni) e Nicolò Pagani (basso e contrabbasso), Strangis ha dato vita a un live impeccabile, riempiendo un Teatro Grandinetti sold out di note e canzoni che lo hanno rapidamente portato alla ribalta, seppur spogliate di synth e sequenze. Una veste inedita e basic che non ha però impedito alla sua band di spingere sull’acceleratore, se necessario, come testimoniato dalle trascinanti versioni di “Stai bene su tutto” e “Bang Bang”, giusto per citarne un paio. Perché, in fin dei conti, si è trattato di una sorta di set ibrido: un “unplugged 2024”, per la precisione. Quanto basta, comunque, per far emergere il lato più intimo e cantautorale, in pieno stile indie, di brani quali “Occhi lucidi”, “Stupida Libertà”, “Partirò da zero” e, ovviamente, le hit legate ad “Amici”: “Tienimi stanotte”, “Muro” e “Riflessi”, ballad dalle sfumature hendrixiane che all’epoca lo aiutò a entrare nel celebre talent firmato Maria De Filippi. Ma sono solo alcuni degli highlights di una serata memorabile, accolta con grande entusiasmo dal pubblico del più antico teatro cittadino. L’occasione ideale per incontrare Luigi e analizzare due anni ricchi di musica, concerti e cambiamenti, spesso voluti o desiderati. D’altronde, parafrasando David Bowie, il cambiamento può anche seguire i tuoi di passi. Basta essere liberi. Liberi di provare e sperimentare, fino a trovare, magari, lo Shangri-La.
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Negli ultimi due anni, chiaramente, hai avuto la possibilità di esibirti nelle più importanti città italiane, anche in venue abbastanza prestigiose, come accaduto in questo minitour che, dopo Roma e Milano, si è concluso nella tua Lamezia. Cosa si prova a tornare nella propria città a due anni di distanza dal primo live al “D’Ippolito”?
Beh, chiaramente, è sempre bello. La differenza riguarda il fatto che stavolta siamo in teatro, quindi si tratta di una versione più intima, leggermente diversa, anche nell’approccio del live, avendo riarrangiato un po’ tutto. Tra l’altro, penso che il teatro, rispetto agli altri posti in cui abbiamo suonato a Roma e Milano, sia la venue più adatta per questo tipo di concerto, a partire dall’acustica, quindi non vedevo l’ora di suonarci. E, in tutta sincerità, spero di non dover aspettare altri due anni prima di tornare.
Ecco, a differenza di due anni fa, questo tour ti ha visto impegnato in una veste diversa, in formato unplugged, parola che, a chi è cresciuto negli anni ’90, rievoca tanti bei ricordi, dai Nirvana agli Alice In Chains, ma anche Eric Clapton e tanti altri (ma sono certo la cosa abbia interessato anche il tuo percorso di crescita). Come è nata l’idea di esibirti in acustico? E poi, esiste una tua dimensione ideale tra full band e unplugged? O sono semplicemente due volti, se vogliamo, magari, anche complementari, di Luigi Strangis?
Innanzitutto, MTV Unplugged dei Nirvana è stato un gran reference per me, perché anch’io ho sempre ascoltato certe cose. Ti dirò, tra l’organico unplugged e full band, in realtà, penso che la dimensione più adatta a me sia una via di mezzo: il power trio, che non ho ancora sperimentato, ma penso possa essere una grande idea. In queste date, comunque, Luca, il nostro percussionista, varia un po’: ha un SPD, shaker, anche cassa e rullante, quindi abbiamo creato il tutto in modo da spingere, ma non troppo, e dare il giusto colore ai pezzi. Lo definirei un unplugged 2024, perché, chiaramente, abbiamo anche un C-Bass. Non ci sono, invece, sequenze: siamo liberi di suonare e io adoro questo tipo di set, perché posso allungare i brani, muovermi diversamente, anche durante il concerto stesso, guadagnandone molto in dinamica, aspetto che alla fine fa tanto nell’economia di un live. È una roba un po’ più personale e credo arrivi dal fatto che, essendo un musicista, ho sempre suonato chitarra e voce o piano e voce, quindi sentivo la necessità di togliere tutti quei colori esterni, alieni, ed essere un po’ più crudi, più raw.
Una cosa che mi incuriosisce molto è proprio il tuo background. Ad “Amici”, ad esempio, hai avuto modo di confrontarti con Chris Isaak, con “Baby Did A Bad Bad Thing”, o con Prince in “Purple Rain”, divenuta poi una sorta di tuo cavallo di battaglia dal vivo. Comunque, parliamo di roba abbastanza distante da quella che è la tua produzione attualmente. Come è cambiata la tua visione musicale nel tempo, soprattutto negli ultimi due anni?
È cambiata soprattutto nell’ascolto. Ho sempre ascoltato cose vintage, diciamo pure così, mentre oggi mi sto aprendo di più anche al nuovo, ma semplicemente per stare al passo con i tempi. Però, il vintage ha un sapore difficile da ricreare con la musica di oggi. In realtà, penso questo. Gli ascolti hanno fatto tanto e mi hanno portato a cambiare prevalentemente nell’approccio personale di scrittura. Ma è una cosa che si vedrà maggiormente anche con il tempo, nelle prossime uscite, nei prossimi lavori.
A tal proposito, un’ultima domanda. Stando alle tue dichiarazioni, il titolo del tuo secondo full lenght, “Voglio la Gonna”, sottolinea fondamentalmente l’importanza di avere la possibilità di scegliere cosa essere. E tu? Ti senti abbastanza libero di essere te stesso, sia a livello artistico che individuale?
In realtà, sì. Io sto cambiando e l’evoluzione di un artista si vede gradualmente, negli anni. Rispetto a quello che ho fatto in passato, mi sento cambiato, come è giusto che sia, perché, chiaramente, ho stimoli sempre nuovi, incontro gente diversa con cui fare musica, ecc. Non a caso, “Voglio la gonna” esprimeva un concetto piuttosto chiaro di libertà individuale: sentiti libero di essere ciò che vuoi, anche di cambiare. Si vive, si va avanti, si cambia e, magari, si migliora, perché no?
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