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In un momento di fuga dalla realtà, o di memoir ed autofiction, Carmine Abate si prende la responsabilità di parlare del nostro presente così difficile da esplorare per la maggior parte dei suoi colleghi scrittori. Lo fa con un libro che non contiene slogan ideologici, ma che racconta storie, che rende umani e reali quelli che nella nostra quotidianità ci arrivano soltanto come numeri o statistiche o due righe di cronaca. Per citare De Gregori, "è gente come te e me, non sono numeri da scaricare". Nei giorni in cui infuria il caso-Riace, è infatti da poco arrivato nelle librerie, a tre anni da "La felicità dell'attesa", il nuovo libro di Carmine Abate, "Le rughe del sorriso", edito da Mondadori. L'idea del romanzo, come spiega Abate, è nata tre anni fa a Roma vedendo una folla inferocita di persone in apparenza normalissime che urlavano e buttavano sampietrini contro un gruppo di stranieri. Lì, nella folla, il sorriso di una donna colpì lo scrittore: un sorriso non di sfida, ma di incredulità, una richiesta di comprensione, una preghiera.
"Le rughe del sorriso" ha un’ambientazione itinerante che da un villaggio somalo per orfani conduce a un centro di accoglienza in Calabria. Una storia, oltre che bruciante nella sua aderenza al presente, estremamente coinvolgente e palpitante, diversa da quelle narrate da Abate fin qui, ma che a suo modo chiude un cerchio. Lo scrittore coglie i segnali del suo tempo e, dopo aver raccontato l'emigrazione dei germanesi e dei calabresi nelle Americhe, senza voler inseguire la cronaca, compie lo sforzo di mettersi dall'altra parte: quella dei migranti africani e asiatici che cercano disperata salvezza sulle nostre sponde. Raccontare la Storia attraverso le storie di persone vere, non numeri da scaricare. La vicenda viene raccontata dal punto di vista di Antonio, insegnante in un centro di seconda accoglienza per migranti nel paese di Spillace, nel quale si nasconde Carfizzi, l'Hora del ciclo narrativo che ha fatto conoscere Abate. Un paese che nel corso del Novecento è stato svuotato a ondate dall’emigrazione e che si trova in qualche modo a rianimarsi, a scoprire energie nuove per gli arrivi di persone che arrivano da devastati luoghi lontani in cerca di una vita da ricostruire.
Riace viene citata esplicitamente e con essa il suo "sindaco capatosta", Mimmo Lucano. Antonio, anche se non lo ammette, è innamorato di Sahra, una bellissima ragazza somala che scompare dal centro. Seguendo le tracce e le rughe del suo sorriso, l'insegnante mette insieme i pezzi di una storia che comincia nella guerra che distrusse la Somalia nei primi anni 90. Tanta violenza e ferocia – la stessa che rubò la vita a Ilaria Alpi – e anche un'umanità che può riscontrarsi solo nelle tragedie, la capacità e la voglia di aiutarsi a vicenda e un attaccamento alla vita che Abate sa restituire con pagine di luminosa bellezza. Antonio raccoglie segmenti di storia da Faaduma, cognata di Sahra, anch'essa ospite del centro di Spillace: a intervalli regolari, è come si aprisse un sipario da "Mille e una notte": la giovane donna squarcia veli parziali, dispettosi, raccontando episodi che aiutano il protagonista a sapere un po' di più, e al contempo a capire un po' di meno. La storia, emozionante e corale come tutte quelle che Abate ci ha regalato, incalza senza sosta, con un finale sorprendente che naturalmente qui non si può svelare. "Le rughe del sorriso" ci fa entrare dentro vite che non sono le nostre, ma che, nonostante "politici populisti e aggressivi", potrebbero esserlo. "Io che ho vissuto l'emigrazione sulla mia pelle – spiega Abate – ho voluto immergermi in questa migrazione al contrario: alla base c'è sempre la costrizione e la ferita della partenza".
A tutte e tutti voi una felice conclusione del 2018 e un buon 2019.