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E’ passata la riforma del Senato a Palazzo Madama con 179 “sì”, ben oltre la maggioranza assoluta. Ma non hanno partecipato al voto: Lega, 5 Stelle e Forza Italia. Non c’è stata condivisione. Siamo dell’avviso che le riforme costituzionali dovrebbero essere largamente condivise. Frutto di un compromesso alto. Ce l’ha insegnato il percorso dell’Assemblea costituente che votò la Carta costituzionale repubblicana. Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei 75, deputata a redigere il testo della Costituzione, in sede di presentazione per il voto finale, il 22 dicembre 1947, sottolineò che “nessuna altra Carta ebbe una più minuta preparazione; nessuna fu più a lungo discussa”. In ogni caso “la Costituzione, come ogni opera collettiva, non può che essere un compromesso”. Un esempio a conferma di quanto sostenuto dal prestigioso politico della Costituente: il comunista Palmiro Togliatti, scomunicato (in seguito) e “mangiabambini”, a proposito del richiamo ai Patti Lateranensi nell’art. 7 della Carta, comunicò, nella seduta del 25 marzo 1947, la disponibilità del Partito comunista a votare il testo dei democristiani perché “meglio corrisponde agli interessi della nazione italiana”. Insomma la Costituzione fu il risultato di una scelta politica, in grado di rappresentare i diritti di tutti gli Italiani. Un compromesso fra tradizione cattolica, socialista e liberale, definito da Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale “il miracolo costituente [difficile a rinnovarsi] oggi, quando qualsiasi mutamento della Costituzione si risolve, per gli uni e per gli atri, in un vantaggio o in uno svantaggio, che ciascuno è in grado di calcolare”. Dopo il miracolo ci sono stati gli insuccessi delle bicamerali; successivamente, a colpi di maggioranza, le riforme del 2001 (Titolo V) e del 2006 (riforma bocciata dal referendum confermativo). E proprio perché volute solo dalla maggioranza che le aveva votate evidenziavano fragilità. In realtà, su alcuni aggiustamenti istituzionali, l’Italia non è rimasta ferma. Si è mossa lentamente. Citiamo alcuni “assetti istituzionali derivati” che si sono realizzati negli ultimi decenni: la riforma della Presidenza del Consiglio per la decretazione d’urgenza e la legislazione delegata; la riforma dei regolamenti parlamentari; la riforma delle autonomie locali e della pubblica amministrazione. Poi 33 modifiche del testo costituzionale.
Oggi si sta concretizzando il superamento del bicameralismo paritario. Solo la Camera voterà la fiducia al governo; i senatori saranno 100, 95+5 di nomina presidenziale; 21 saranno sindaci delle città più importanti e 74 consiglieri regionali ad elezione diretta con una legge quadro ad hoc; vengono aboliti il CNEL e le Province; i senatori concorreranno alla elezione del Presidente della Repubblica e sceglieranno due giudici della Corte costituzionale. Durante l’iter di riforma istituzionale, non poche le fibrillazioni a Palazzo Madama tra schieramenti, partiti e movimenti. Senza dimenticare i gruppi di transfughi che continuano a moltiplicarsi, rivelando instabilità parlamentare. Il più noto alle telecamere è appunto il gruppo ALA di Verdini. Ma non si è caratterizzato come “la stampella” della maggioranza, perché maggioranza e minoranza Pd si sono ricompattate. Di questo delicato passaggio si è resa protagonista la senatrice lametina Doris Lo Moro dichiarandosi favorevole all’emendamento al comma 10 dell’art. 39, a nome della minoranza Dem, dimostrando ancora una volta capacità politica e competenza tecnica. A tal riguardo si prevede una legge elettorale quadro del nuovo Senato che “andrà fatta entro sei mesi dall’entrata in vigore della riforma e le Regioni si dovranno adeguare entro tre mesi”. Per la suddetta iniziativa ha ricevuto gli apprezzamenti del ministro Maria Elena Boschi: “L’intervento ha chiarito il significato dell’emendamento sulla legge che sarà la cornice entro cui fare le leggi elettorali regionali”. A di là di queste soddisfazioni che ribaltano tanti luoghi comuni sui politici calabresi, resta il fatto che c’è bisogno di maggioranze ampie per le riforme. Speriamo che le modifiche apportate possano essere condivise e votate dalla maggioranza del popolo italiano in occasione del referendum confermativo.