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Nuove forme partecipative per risolvere il problema dell’astensionismo
Scritto da lametino9 Pubblicato in Pino Gullà© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riprendiamo il discorso sulla scarsa partecipazione al voto diventata preoccupante nell’ultima tornata elettorale. Quasi il 50% degli aventi diritto non è andato a votare alle regionali, la maggioranza non ha deposto la scheda nell’urna ai ballottaggi. Non è il meglio della democrazia, anzi il peggio. Il fenomeno dura ormai da decenni ed è in costante crescita. Alcuni enti, amministrazioni, associazioni, cittadini comuni hanno cercato di porvi rimedio sperimentando nuove forme partecipative, considerato che le pratiche tradizionali (es. Consigli di quartiere, Consulte…) avevano esaurito la loro efficacia, al massimo si caratterizzavano come fotocopie dei Consigli comunali. Anche quelle del “Bilancio Partecipativo” sui modelli sudamericani sono risultate di breve durata perché non hanno risolto le problematiche di un tessuto sociale frammentato; erano più funzionali ai cittadini già politicamente impegnati che, però, non davano spazio, con il loro protagonismo, ai cittadini comuni. Le primarie finora hanno stimolato la partecipazione del centrosinistra soltanto nel momento “selettorale”: in occasione delle primarie “aperte” (iscritti e non iscritti) ha votato “il selettorato”, una fascia di elettorato. Pur essendo strumento di selezione della leadership, sono al centro di un dibattito che ci permettiamo di sintetizzare nel seguente interrogativo: sono finalizzate soltanto alla conquista del potere da parte del leader e dei partiti oppure hanno il potere di cambiare la politica in positivo? Purtroppo pure con le primarie del centrosinistra l’astensionismo è rimasto, anzi è aumentato. E’ necessario andare al centro del problema. Ci proviamo.
Se alcuni partiti o istituzioni sono accusati di essere autoreferenziali e certi rappresentanti istituzionali o amministratori risultano affetti da malapolitica, è difficile che larghi strati di elettorato perseguano l’ideale partecipativo. In primis bisognerebbe ripristinare la fiducia tra cittadini e istituzioni, a tutti i livelli, dal basso verso l’alto, attraverso la trasparenza, l’informazione, la consultazione degli atti. Poi è importante puntare su iniziative mirate riguardanti progetti concreti (riqualificare il centro storico, una piazza, un’area industriale dismessa) o rivolte a fasce sociali ben precise (i giovani, gli immigrati…). In tal modo si supera la partecipazione generica. I ricercatori Raffini e Viviani, già citati nei precedenti articoli online, analizzano le nuove forme partecipativo-deliberative, richiamandosi a Bobbio a proposito delle arene deliberative, caratterizzate da uno scambio di idee-proposte fondato sulla forza della migliore argomentazione. Le sperimentazioni vengono attuate sia al centro che nelle periferie disagiate. Come riferiscono gli studiosi, tali processi sono “altamente strutturati, definiti da procedure standard [con] tecniche di facilitazione, si propongono di creare un ambiente artificiale che cancella le differenze di risorse tra i partecipanti”. Le arene deliberative tentano di ovviare alla decadenza del dibattito della politica tradizionale che trova le sue finalità nella delega e nell’aggregazione degli interessi. Sperimentazioni innovative sono state fatte in Toscana e in Liguria; alcune organizzate in modo da favorire il confronto tra i cittadini con lo scopo di fare esprimere i diversi punti di vista. Così si dovrebbero “promuovere la virtù civica, cognitiva e politica” facendo crescere qualitativamente la partecipazione. Potrebbero anche emergere quelli che una volta si chiamavano “ quadri” e permettere, quindi, la formazione di nuovo personale politico. C’è, però, il rischio che le aperture siano “puramente simboliche”; altra difficoltà è che le arene artificiali rappresentino un ostacolo alla partecipazione spontanea. A volte, può accadere “l’effetto paradossale”: il cittadino competente viene considerato come elemento di disturbo verso gli altri partecipanti, pertanto da neutralizzare. La Regione Toscana ha promosso iniziative in tal senso sulla base della legge 69/2007 che regola le “norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”. Ha portato avanti numerosi processi partecipativi a livello locale e regionale, privilegiando la “partecipazione depoliticizzata e individualizzata”, escludendo movimenti e comitati senza considerare una priorità il ceto politico locale, mentre è “centrale il ruolo dei consulenti”. Dagli studiosi viene riportato in nota il percorso partecipativo messo in atto dal Comune di Prato per l’elaborazione dello Statuto del territorio (Cellini, Mete, Raffini). Inoltre, sempre in nota viene fatto solo un accenno alla Legge regionale 3/2010 dell’Emilia Romagna che considera prioritario lo scambio delle pratiche. In buona sostanza gli autori di cui sopra evidenziano limiti, contraddizioni e insufficienze delle nuove pratiche partecipative (primarie e processi partecipativo-deliberativi), ma anche le note positive quando favoriscono “spazi di partecipazione reale”.
Si è cercato di ravvivare la partecipazione con il “Dibattito Pubblico”, per esempio qualche anno fa a Genova sulla rete autostradale si è instaurato un ampio confronto sui diversi progetti e anche su quelli alternativi con i più svariati strumenti senza esclusioni pregiudiziali. La convinzione dei ricercatori è che in tal caso si è realizzato “un compromesso tra l’ideale deliberativo puro e quello inclusivo”. Le ricerche dimostrano che bisogna provare e riprovare nuove forme partecipative in una società reticolare in continua trasformazione che “trova difficoltà di aggregazione e di rappresentanza politica”. Ma bisogna stare attenti in quanto i processi partecipativo-deliberativi potrebbero provocare “derive tecnocratiche, essendo strumenti di tecnopolitica [Rodotà]”. Nonostante le difficoltà a cui abbiamo accennato, è urgente trovare un humus democratico innovativo per fare emergere la nostra società complessa e coinvolgerla in nuove forme partecipative che diano possibilità di rinnovamento del ceto politico con caratteristiche di conoscenza, competenza e sensibilità sociale. E’ arrivato il tempo di cambiare verso una politica fatta da buoni rappresentanti e sorretta da cittadini sensibili alle pratiche democratiche.