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I fatti successi alcuni mesi fa a Crotone riguardanti la confraternita Misericordia che gestiva il Centro di accoglienza per i richiedenti asilo (CARA) potrebbero, in qualche modo, oscurare quanto fa la Chiesa di Bergoglio in termini di amore per il prossimo: in particolare, oggi, per il migrante. Tante iniziative del Vaticano forse non fanno notizia, all’incontrario dell’arresto di qualche mela marcia o del razzismo difensivo apparso in determinate località della nostra Penisola; di fatto associazioni cattoliche sono attive e mostrano l’impegno di enti ecclesiali attraverso la rete capillare delle parrocchie, come ha scritto Gianni Valente, redattore presso l’agenzia Fides, organo d’informazione delle Pontificie Opere Missionarie. Nel suo articolo Chiesa e migranti, il pragmatismo del Papa presenta risultati e numeri che indicano concretezza: “Quasi 14 mila persone sono accolte nei centri di accoglienza straordinari (Cas) gestiti da parrocchie o da altre realtà della rete ecclesiale (…). Più di 4 mila e 200 persone dello Sprar (Sistema di profughi richiedenti asilo e rifugiati) sono accolte nelle stesse strutture. (…) vanno aggiunti oltre 3 mila e 500 profughi accolti nelle parrocchie e sostenuti con fondi provenienti dalla comunità ecclesiale”. Altre esperienze positive sono quelle realizzate dalla Chiesa in sinergia con prefetture e amministrazioni locali: venti comuni in Val di Susa firmatari di un protocollo per “un programma di micro-assistenza”, considerato un modello per le realtà montane. La Rete civica di trenta comuni in provincia di Varese “opera in stretto contatto con la Caritas ambrosiana e con iniziative messe in campo da altre confessioni religiose”. Un successo di politica (in senso lato) e di diplomazia l’apertura dei corridoi umanitari: iniziative congiunte di Stato e Chiesa, ma anche dialogo interreligioso (nell’ambito cristiano) tra Comunità di Sant’Egidio, Tavola valdese, Federazione delle Chiese evangeliche. A tutt’oggi 800 persone “in condizioni di vulnerabilità” sono arrivate in Italia. Il 12 gennaio scorso è stato sottoscritto un altro protocollo sostenuto dalla CEI (Conferenza episcopale italiana) tramite Caritas, Migrantes, Comunità di Sant’Egidio firmato al Viminale insieme ai rappresentanti dei ministeri degli Esteri e dell’Interno. L’obiettivo è quello di portare in Italia, nel giro di due anni, 500 rifugiati eritrei, somali e sud-sudanesi. Il tutto finanziato con l’8 per mille. Grazie all’attivismo del Vaticano l’anno scorso è arrivato nel nostro Paese un gruppo di siriani con gravi problemi di salute. Tuttora le reti ecclesiali assistono 25 mila migranti nell’intera Penisola. Tale impegno ha una sua ricaduta positiva nel sociale e funziona da antidoto rispetto a fenomeni di razzismo e di paura “dell’altro”. Le letture rozze, sbrigative e strumentali di certa politica non trovano spazio nel mondo cattolico che segue la via dell’amore per il prossimo. Da mettere in conto l’esperienza e la conoscenza del problema migratorio delle associazioni cattoliche presenti nei luoghi di: guerre, pestilenze, malattie endemiche, devastazioni ambientali.
Già da tempo la Chiesa parla di accoglienza ed integrazione. In proposito le parole di papa Francesco di qualche anno fa: “Credo che non si possa chiudere il cuore a un rifugiato. Ma c’è anche la prudenza dei governanti che credo debbano essere molto aperti nel riceverli, ma anche fare un calcolo di come poterli sistemare. Perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, lo si deve integrare”. Un recente slogan di alcuni politici, “aiutiamoli a casa loro”, di multiforme interpretazione nel dibattito da campagna elettorale continua, da decenni è nel lessico della Chiesa che cerca di far seguire alle parole i fatti. Gianni Valente ci informa che le campagne promosse dalla Caritas, dalla Fondazione Missio e dalla Federazione organismi cristiani di servizio internazionale volontario (Focsiv) hanno sostenuto una miriade di micro progetti “nei Paesi di provenienza dei flussi migratori, riaffermando in questo modo (…) il diritto a rimanere” insieme al diritto ad emigrare e “a non dovere emigrare per sopravvivere, rischiando di morire nei viaggi organizzati dai mercanti di uomini”. Si è ritenuto doveroso scrivere il presente pezzo perché alcuni media, tutti presi dal populismo, dal razzismo strisciante, dal terrorismo, dalla politica dei respingimenti, dalle polemiche urlate di certi partiti, trascurano il cammino distintivo e silenzioso della Chiesa sulle migrazioni. Non solo, basta una mela marcia e montano polemiche e critiche contro la Chiesa che ha il merito, evangelicamente, di schierarsi a difesa dei disperati. In compenso la popolarità di papa Francesco ha respinto (questa volta respingimenti positivi) calunnie e attacchi provenienti anche da settori religiosi tradizionalisti. Poi ci sono gli attacchi della destra populista.
Trump ci ha provato, ma poi è andato a far visita a Sua Santità. Ciò lascia ben sperare, nel senso che le armi della denigrazione contro la Santa Sede si sono rivelate inefficaci e la stragrande maggioranza dei popoli, di altre confessioni religiose esprime simpatia e fiducia verso Bergoglio.
La Chiesa impegnata nel mondo degli ultimi, in cammino per le strade accidentate dei Paesi in difficoltà, è pronta e preparata ad alleviare le pene dei tanti che cercano a fatica di sopravvivere; oggi, come ieri, è vicinissima ai migranti, a coloro che riescono ad arrivare sulle nostre coste, ma pure a quelli che sono rimasti nei Paesi d’origine. La politica e il governo, di fronte a questo enorme problema da risolvere, farebbero bene a tenere in massima considerazione gli insegnamenti, le esperienze e le competenze maturate dalla Chiesa cattolica in tanti anni, concernenti il superamento della disperazione dei molti in sofferenza per il mondo.