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Eravamo in tanti il 19 marzo scorso a Locri, in occasione delle commemorazioni che hanno anticipato la giornata della memoria dei morti ammazzati dalle mafie, celebrata il 21 dello stesso mese. E’ stata la 22esima edizione organizzata da Libera, associazione contro tutte le mafie. Un elenco lunghissimo, 950 vittime, ogni anno aggiornato, letto dai loro parenti ha suscitato in tutti i partecipanti emozioni forti che non diminuiscono d’intensità quando la ricorrenza si rinnova. In questi momenti si va al di là dell’anniversario rievocativo; la manifestazione ogni volta consegna energie nuove per cambiare quella parte di presente negativo. Non è voluto mancare Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica, fratello di Piersanti, ucciso dalla mafia negli anni ’80. Tutti in piedi al suo arrivo. Tutti a cantare l’Inno di Mameli. Presenti l’Italia e la Calabria istituzionali; Locresi e Calabresi; giovani e adulti, insieme. Ancora di più nelle giornate successive, hanno sfilato in 25 mila provenienti da ogni parte d’Italia. Belle giornate che non si dimenticano, anzi rafforzano sentimenti e idealità per preparare un futuro diverso e propositivo. Mattarella nel suo intervento non ha concesso nulla alla retorica ponendo in particolare l’accento sulle zone grigie: “I vari livelli politico-amministrativi devono essere (…) impermeabili alle infiltrazioni e alle pressioni mafiose”. Perentorio don Luigi Ciotti, presidente di Libera: “Bisogna rompere l’intreccio tra politica, economia e corruzione”.
Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro, accanto ad altri magistrati, politici e uomini delle Istituzioni ascoltava attento i passaggi dei discorsi anzidetti. Per il nostro procuratore cose già viste, verificate, scritte che hanno permesso il positivo risultato di tante indagini. Non solo. Sono uscite dalla ristretta cerchia degli addetti ai lavori e diventati libri di larga diffusione dove il problema della delinquenza organizzata è stato continuamente analizzato e approfondito. Sono letture che ci permettono di comprendere il problema della criminalità nella sua complessità storica, politica, sociale ed economica. Per ultimo, in ordine di tempo, Padrini e padroni, di cui sono autori Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, quest’ultimo esperto di ‘ndrangheta e storico delle organizzazioni criminali. Le note bibliografiche rivelano il rigore con cui sono state ricostruite molte delle vicende delinquenziali del nostro Paese: dall’Italia post-unitaria ai primi decenni del Terzo Millennio. Con Padrini e padroni si continuano a squarciare veli e a rendere meno oscure zone d’ombra per tanto tempo non ben delineate. Considerati i risultati raggiunti, a nostro avviso, andrebbero rivisti alcuni avvenimenti criminali. Opere e manuali di storia avrebbero bisogno di aggiornamenti in tal senso. Sicuramente le mafie e l’intreccio perverso con certa politica hanno in parte condizionato la convivenza civile, lo sviluppo socio-politico e quello economico dell’Italia.
I fatti raccontati in Padrini e padroni sono suffragati da una ricca bibliografia fin dal periodo post-unitario. Ne elenchiamo alcuni che ci danno il riscontro su legami ed intrecci inconfessabili. Nell’appuntamento con l’urna del 1869 a Reggio Calabria, gli “accoltellatori” di un famoso “maffioso [con doppia f] e camorrista” intimidirono gli elettori davanti ai seggi e si resero “protagonisti di brogli elettorali” a tal punto che il prefetto fu costretto a sciogliere il Consiglio comunale. Va certamente registrato come uno fra i primi scioglimenti dopo l’Unità d’Italia. Le motivazioni sono tratte dall’archivio di Stato, Gabinetto di prefettura. Così la comunicazione scritta al ministro dell’Interno di allora: “Le elezioni amministrative dovettero essere annullate (…) [per] avere i componenti i seggi alterato lo stato delle urne coll’introdurre schede false”. I giornali e la pubblicistica in generale di fine Ottocento diventano documenti preziosi, rilevanti, utili alla ricostruzione storica del fenomeno delinquenziale organizzato per come si legge nelle pagine del libro. Nel 1886 il settimanale La Patria denunciava l’untume rappresentato da camorristi e ammoniti che facevano comunella con i candidati dei vari schieramenti. Erano considerati “esseri dall’opera obliqua” perché non facevano distinzioni ideologiche. In cambio del loro mettersi a disposizione chiedevano “attestati di benemerenza per evitare misure di prevenzione e per ottenere il porto d’armi”. E’ l’inizio della legittimazione mafiosa da parte di certa politica, anche se in maniera informale. Nell’intanto si estendeva a macchia d’olio la corruzione. Agli inizi del Novecento le catastrofi e i terremoti in Calabria con l’arrivo di denaro pubblico rinsalderanno i legami tra certa politica e delinquenza organizzata. Se ne parlerà in altra occasione.