Bosco Archiforo: in cerca di salvezza

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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 francesco-bevilacqua-foto-blog-nuova_80da1_19973_ea258_59f1c_e96f0_cec4f_df014_db513_eb6b5_f8fb1_2c83a_da5cd_ac61d-1_c49d8_8565a_1a702_73902_90cc3_d8d69_c1afb_508ed_14fbf_1602e_c1835_27877_1f47f_c6130_553d9_7ee8b_d4abb___.jpg“Dopo aver attraversato l’Ancinale […] seguiamo il corso di un ruscello lungo una graziosa vallata chiusa tra due superbi boschi di abeti. Il paesaggio ha interamente il carattere delle nostre montagne svizzere; […] tutto forma un quadro alpino dei più pittoreschi. […] Con una visione simile si fa fatica a non credere di essere in un paesaggio del Nord, in una delle tante vallate perdute nelle montagne dell’Oberland o del Valais […].” Lo aveva intuito Horace de Rilliet, il medico militare che con il reggimento borbonico al seguito di Ferdinando II, ad inizio autunno del 1852 attraversò le Serre calabre: quel bosco di abeti che si ergeva ad est dell’Ancinale era come un angolo della sua terra, la Svizzera, calato nel cuore del Mediterraneo. Archiforo si chiama la foresta che incantò Rilliet e che oggi accoglie la nostra erranza. Roberto è l’innamorato, l’amante, l’adoratore dell’Archifòro. Anche da solo, in ogni momento dell’anno, con qualunque condizione atmosferica, egli si sperde nelle sontuose navate di questa che è una delle foreste più sontuose d’Europa. Non è un caso che l’Archiforo sia l’unico sito italiano (insieme alla sughereta di San Vito nel Lazio) inserito nell’elenco delle 40 foreste più belle del mondo dove praticare lo “shirin-yoku” - letteralmente “immersione nei boschi” – nel libro con questo nome dell’immunologo Quing Li. Ma dicevo di Roberto. I suoi sentimenti sono simili ai miei. Per dirla con Hermann Hesse, la vista degli alberi è per noi una pura esperienza erotica. Benché essi rappresentino plasticamente – e quegli alti e dritti abeti ancor di più – la potenza virile, essi sono anche la massima espressione delle fecondità. Che è prerogativa femminile. Eros si manifesta oggi in forma di relazione fra ombra e luce, fra raggi di sole e pulviscolo che danza, fra tronchi tappezzati di muschi e frattali d’azzurro sullo sfondo del cielo. Un quartetto inusuale compone la musica del bosco: il vento che agita le fronde in alto, il cinguettio degli uccelli, il suono dei rami che oscillano, lo scricchiolio dell’humus sotto i nostri piedi. La foresta è un immenso teatro dove gli alberi mettono in scena la vita. Come nelle grandi tragedie greche: sullo sfondo dell’unica entità immutabile ed increata, la Natura, con il suo ciclo di vita, morte e rinascita, col suo principio di necessità, che, come ammonisce Eschilo, è più forte della tecnica dell’uomo. Siamo partiti da Vallone Fodo, nei pressi del Lago della Lacina, per esplorare una parte del bosco sino alla Pomara. L’intenzione è di fare una breve passeggiata per via della mia schiena troppo malandata e che i medici mi hanno scongiurato di tenere a riposo. Ma quarant’anni di cammini mi hanno reso dipendente da questa forma di compensazione psichica e spirituale. Decido di allungare – di molto - sino alla Pietra De Lu Moru, una delle formazioni litiche che costellano il bosco. E al rientro ci tuffiamo per far visita ad un altro lembo sconosciuto di foresta. È l’apoteosi degli abeti. Ne contiamo tanti che superano i quattro metri e mezzo di circonferenza ed i quaranta metri di altezza. Dopo sette ore di immersione nel bosco capisco che non sono gli antiinfiammatori a guarirmi. E non dirò nulla dei tanti pericoli che corre l’Archiforo, preso d’assalto dall’insipienza degli amministratori locali e dalla voracità dei tagliatori. Questa grande foresta, che parte dalla Lacina e raggiunge il valico del Pecoraro, dovrebbe divenire “patrimonio mondiale delle sue comunità”, come ho sempre pensato dinanzi ai proclami altisonanti dei vari patrimoni Unesco in salsa calabra. Dovrebbe essere eletta a santuario naturale delle genti di Serra, Spatola, Brognaturo. Ed ogni giorno vi si dovrebbe celebrare un rito di rinnovamento e di rigenerazione. Ed ogni uomo, ogni donna delle Serre e del mondo intero dovrebbe sapere che lì, in mezzo agli abeti dell’Archiforo, può sperdersi alla ricerca della sua salvezza. 

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