È morto il boss Matteo Messina Denaro, tra i suoi covi anche Lamezia

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Roma - Dopo una agonia di alcuni giorni è morto a 62 anni nell'ospedale dell'Aquila il boss Matteo Messina Denaro, l'ultimo stragista di Cosa Nostra arrestato a gennaio dopo 30 anni di latitanza.

Il capomafia soffriva di una grave forma di tumore al colon che gli era stata diagnosticata mentre era ancora ricercato, a fine 2020. Dopo la cattura, Messina Denaro è stato sottoposto alla chemioterapia nel supercarcere dell'Aquila dove gli è stata allestita una sorta di infermeria attigua alla cella. Una equipe di oncologi e di infermieri del nosocomio abruzzese ha costantemente seguito il paziente apparso subito, comunque, in gravissime condizioni. Nei 9 mesi di detenzione, il padrino di Castelvetrano è stato sottoposto a due operazioni chirurgiche legate alle complicanze del cancro. Dall'ultimo non si è più ripreso, tanto che i medici hanno deciso di non rimandarlo in carcere ma di curarlo in una stanza di massima sicurezza dell'ospedale. Venerdì, sulla base del testamento biologico lasciato dal boss che ha rifiutato l'accanimento terapeutico, gli è stata interrotta l'alimentazione ed è stato dichiarato in coma irreversibile. Nei giorni scorsi la Direzione sanitaria della Asl dell'Aquila ha cominciato a organizzare le fasi successive alla morte del boss e quelle della riconsegna della salma alla famiglia, rappresentata dalla nipote e legale Lorenza Guttadauro e dalla giovane figlia Lorenza Alagna, riconosciuta recentemente e incontrata per la prima volta nel carcere di massima sicurezza dell'Aquila ad aprile. La ragazza, con la nipote del boss e la sorella Giovanna, gli è stata accanto negli ultimi giorni.

La cattura dopo 30 anni a Palermo

Una latitanza durata 30 anni, finita in un lunedì mattina di tranquillità tra le strade di Palermo il 16 gennaio 2023, il giorno che passerà alle cronache per essere quello in cui è stato arrestato Matteo Messina Denaro, l'ultimo superlatitante di cosa nostra. Sessantuno anni compiuti ad aprile, il capo del mandamento di Castelvetrano e boss della mafia nel Trapanese era entrato in latitanza nel 1993 in piena epoca stragista con le bombe a Roma, Milano, Firenze ed era uno dei maggiori ricercati al mondo. A novembre di quell'anno si rese responsabile di uno dei fatti di sangue più macabri della sua carriera criminale, organizzando il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, 13enne figlio di un pentito, per costringere il padre a ritrattare le rivelazioni rese agli inquirenti sulla strage di Capaci. Il ragazzo venne strangolato e il cadavere sciolto nell'acido dopo una lunga prigionia durata 779 giorni.

Tra i suoi covi anche Lamezia Terme e Cosenza

Grazie alla protezione della 'ndrangheta Matteo Messina Denaro si sarebbe rifugiato tra Lamezia Terme e Cosenza, città in cui il boss avrebbe avuto anche diversi affari: da quello dei traffici di droga in cui le 'ndrine hanno ormai conquistato un ruolo di primo piano, alla realizzazione di un villaggio turistico e di impianti eolici, business sul quale il capomafia, attraverso l'imprenditore Vito Nicastri, avrebbe investito anche in Sicilia. Ma, mentre quella trascorsa da Messina Denaro a Campobello è stata quasi una vita normale, in Calabria, secondo gli investigatori, il capomafia avrebbe avuto una latitanza simile a quella del suo storico alleato corleonese, Bernardo Provenzano costretto a nascondersi e a spostarsi più volte.

Un lungo elenco di condanne per reati di mafia

Storico alleato dei Corlenonesi di Toto Riina, fu Paolo Borsellino a iscrivere il nome di Messina Denaro per la prima volta in un fascicolo giudiziario nel 1989. Da allora il boss è stato raggiunto da mandati di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e numerosi altri reati. Qualche tempo fa è stata anche sentita la sua voce comparsa da un vecchio nastro processuale. Noto anche come 'U siccu' per la corporatura magra, l'ultimo capo dei capi è stato più volte vicino alla cattura negli anni. Nel 2010 un collaboratore di giustizia dichiarò che Messina Denaro avrebbe assistito a una partita del Palermo allo stadio Barbera utilizzando l'occasione per incontrare altri boss con i quali organizzare attentati dinamitardi contro il Palazzo di Giustizia e la squadra mobile di Palermo. Nel 2015 l'emittente Radio Onda Blu avrebbe diffuso le immagini satellitari di una sua presunta abitazione a Baden in Germania e di una sua auto. Tra legami internazionali in sud America e sospetti di vicinanza alla politica, sarebbe sempre scampato alla cattura. L'arresto è avvenuto la mattina del 16 gennaio quando i carabinieri del Ros lo hanno circondato alla clinica La Maddalena di Palermo dove era in cura per un cancro al colon. L'ex primula rossa fino alla fine ha deciso di non pentirsi. Il 5 febbraio il Ros diffonde un audio di Messina Denaro intercettato in auto il 23 maggio 2022, nel trentennale della strage di Capaci in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. "Questo telefono non mi prende stamattina e io qua, bloccato con le 4 gomme a terra, cioè non bucate, sull’asfalto, che non si muovono per le commemorazioni di ‘sta minchia'", dice ai suoi. "Voi mi avete preso per la mia malattia", riferisce ai pm nell'interrogatorio di garanzia. L'ex boss di cosa nostra era ricoverato nel reparto detenuti dell'ospedale dell'Aquila. Le sue condizioni di salute erano peggiorate nei giorni scorsi. Messina Denaro era affetto da un tumore al colon. Già da qualche giorno non riusciva ad alimentarsi in maniera autonoma: lo scorso 12 settembre erano state sospese le cure e mantenuta solo la terapia per il dolore. È spirato questa notte intorno alle 3 del mattino.

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