Per un miao e un bao

Scritto da  Pubblicato in Maria Arcieri

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Mio cugino alleva canarini e merli con una dolcezza e una devozione che ho riscontrato in poche persone. I  gatti e i  cani sono tra i più amati tra gli animali nell’ultimo decennio dalle persone. Si pensi che nel 1324 Alice Kyteler fu la prima donna condannata per stregoneria in Irlanda e accusata di aver ospitato un demone notturno con le sembianze di un gatto nero. In questi tempi esiste un affetto per i cani e per i gatti indescrivibile. Per Freud il rapporto con gli animali è privo di ambivalenza a differenza delle relazioni umane che risultano il più delle volte conflittuali. Un secondo dato storico vede nel XVI secolo, Agnes Waterhouse prima donna inglese giustiziata per stregoneria perché confessò di aver ordinato al suo gatto di uccidere il bestiame locale confermando l’idea che i gatti erano compagni misteriosi e diabolici. Succede anche di ascoltare in questi anni di persone che parlano del proprio animale in termini di figli. Nei casi più rari (per fortuna) ricevono delle eredità. I gatti ai tempi degli Egizi erano considerati sacri e chi gli faceva del male riceveva una punizione mortale. Nel Medioevo dopo una lunga demonizzazione quando i gatti simboleggiavano il male e la stregoneria, nacque la figura della gattara in epoca vittoriana. Il termine all’epoca era l’emblema delle donne nubili o senza figli.

Poi il genio di Walt Disney riuscì a riabilitare l’immagine della donna senza eredi circondata dai gatti con Madame Adelaide Bonfamille negli Aristogatti, donna favolosa senza figli vestita di rosa che viveva in una villa a Parigi e trattava i suoi gatti come dei re, cibandoli con pasti gourmet. Esiste anche una rivista Catnip pubblicata in Oregon da Broccoli casa editrice indipendente guidata da donne, lanciata nel 2027 da Anja Charbonneau. Ma come mai da una decina di anni si amano tanto gli animali, e ci si commuove se soffrono mentre lo stesso sentimento e vissuto con minor intensità se succede alle persone. In una ricerca condotta dai sociologi A. Arluke e J. Levine nel 2017 evince che le persone provano compassione per gli animali mentre molto meno per le persone. Il motivo è che i bambini e gli animali non sono in grado di aiutare sé stessi, non possono difendersi dal pericolo come succede agli adulti. Accade che ci indigniamo per le violenze commesse su un animale in un singolo caso e quando conosciamo la storia e non accade sulla ferocia subita da migliaia di animali anonimi. In psicologia sociale significa che aumentando il numero di soggetti in difficoltà la nostra compassione diminuisce perché non riusciamo a elaborarla. E indignarsi per un caso isolato ripulisce la coscienza e mette a tacere i sensi di colpa per la profonda contraddizione tra il famoso amore per gli animali e l’enorme numero di vite animali che si perdono per il consumismo umano. E in millenni di convivenza con l’uomo, i cani hanno imparato a comunicare con le persone con espressioni e gestualità. Inoltre, i proprietari degli animali non si sentono in competizione, non temono il tradimento; sono protetti e non si sentono soli. Non esiste ipocrisia, finzione manipolazione e si è liberi di esprimere le emozioni senza vergogna con una gratificazione narcisistica. Accade che se le persone protestano e reclamano con gli animali è facile ignorare il disagio. E non rispettare le necessità per dare la precedenza al nostro egoismo. Infine, bisogna pensare che rapportarsi con un animale comporta anche il rischio di evitare di confrontarsi con le proprie emozioni. E non è cosa da poco!

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