La complessità di Edgar Morin agli Esami di Stato 2023

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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La prima parte della traccia per l’indirizzo di Scienze Umane agli Esami di Stato di quest’anno riporta un brano tratto dal sesto volume de “Il metodo.6. Etica” di Edgar Morin, sociologo e filosofo francese della Complessità. Tale argomento è stato trattato più volte nei vari seminari della Scuola Estiva Francesco Fiorentino di Lamezia Terme dal professore Giuseppe Gembillo, già Ordinario di Storia e Filosofia della Complessità del Centro Studi Internazionale <<Edgar Morin>> dell’Università di Messina, oggi coordinatore insieme a Fulvio Forino, presidente di Dedalo ’97, della XIII edizione del Festival della Complessità. Ricordo alcuni passaggi dei corsi lametini su, “Economia, Etica, Ecologia” del 2007. Lo studioso evidenziò la sconfitta dell’etica, sottolineando avvenimenti e date significativi: drammatici i campi di sterminio ad opera del nazismo e il 1945, anno dello sganciamento delle prime bombe atomiche.

 Successivamente reazioni positive attraverso forme di etica individuale: nel 1962 la biologa americana Rachel Carson pubblicava Silent Spring (Primavera silenziosa); la lettera di un’amica, che lamentava la scomparsa dei volatili attorno alla sua proprietà per l’uso dei pesticidi, ispirò la stesura del libro, ben presto un best seller mondiale; considerato da molti un vero e proprio manifesto ambientalista. Una decina di anni dopo venne messo al bando il DDT. Carson era andata oltre la denuncia dell’abuso dei pesticidi, divenne paladina della biodiversità contro i danni inferti alla natura dall’incontrollato intervento dell’uomo. Furono approvate nuove leggi contro l’inquinamento e fu creata l’agenzia sulla protezione dell’ambiente. Si cominciò ad acquisire coscienza che i fenomeni naturali non sono staccati dal contesto ambientale, ma inseriti in sistemi complessi e collegati tra di loro. In “BIOETHICS Bridge to the Future” (BIOETICA. Ponte verso il futuro) di Van Rensselaer Potter, del 1971, si legge per la prima volta il neologismo “bioethics”. Nella presentazione dell’edizione italiana, edita da SICANIA, 2000, viene evidenziato l’approccio multidisciplinare degli scienziati della nuova disciplina, appunto la bioetica, intesa come ponte tra scienza ed etica: “La bioetica dovrebbe fare uscire lo scienziato e il filosofo dal chiuso del sapere specialistico per aprirsi al dialogo e al confronto”.

Nel corso degli anni si è andati ancora più in là, superando tale visione antropocentrica e passando dall’etica all’eco-etica, al territorio e a un nuovo rapporto con la natura. Più o meno nello stesso periodo c’è la presa di coscienza ecologica da parte di Morin come ricorda in Lezioni da un secolo di vita (Ed. Mimesis, 2021): “Nel 1972, un evento di importanza planetaria fu percepito nella sua ampiezza solo da una minoranza dispersa di menti: la pubblicazione del rapporto del professor Meadows, del Massachusetts Institute of Technology che rivelava i processi di degradazione della biosfera. (…) Questa degradazione non interessava solo la biodiversità vegetale e animale, ma l’umanità intera, attraverso l’inquinamento dei fiumi, degli oceani, delle città, dei suoli destinati all’agricoltura industriale, dall’alimentazione nata da questa agricoltura, degli animali rinchiusi in massa e nutriti artificialmente” (p. 107). Ma la coscienza ecologica progredì in parte e con lentezza. Guerre e crisi fino alla pandemia del Covid e al recentissimo conflitto in Ucraina che dimostrano come siano necessari l’apporto del pensiero complesso e la sua consapevolezza per affrontare il futuro incerto: “L’umanesimo rigenerato si fonda sul riconoscimento della complessità umana. (…) Riconosce la pienezza dei diritti a tutti gli umani, quali che siano la loro origine, il loro sesso e la loro età. Attinge alle fonti dell’etica, che sono solidarietà e responsabilità. Costituisce l’umanesimo planetario della Terra-Patria” (pp. 117-118).

Giuseppe Gembillo e Annamaria Anselmo, professore ordinario di Storia e Filosofia della Complessità nell’Ateneo messinese, in Filosofia della Complessità, Ed. Le Lettere, 2013, affermano: “Abbiamo trovato in Edgar Morin un compagno di viaggio che ci può fare da guida nel percorso verso una ridefinizione radicale dell’etica antropologica sia nella sua direzione autonoma sia in quella che si incrocia con l’eco-etica. (…) Così diventiamo responsabili sia nei confronti di tutto ciò che la terra produce, sia del fatto che la terra possa continuare a produrlo e si attua l’obiettivo di proiettare il comportamento etico in direzione futura, rispondendo positivamente all’indicazione di Hans Jonas (p. 174, n. 43 Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica) volta a incitare ad agire in maniera tale da garantire che un futuro sia possibile per il pianeta e i suoi abitanti” (pp. 171-174).

E ancora, Giuseppe Giordano, professore ordinario di Storia della Filosofia, direttore DICAM (Dipartimento di civiltà antiche e moderne) nell’Università Peloritana e tra i relatori più assidui nella Scuola  Francesco Fiorentino, nel saggio La scienza complessa  come via  per il pensiero eco-etico, sostiene: “É nato un nuovo paradigma scientifico, il paradigma della complessità, il paradigma di una scienza che non è più estranea al mondo della storia e quindi assolutamente deresponsabilizzata nei suoi confronti; il paradigma di una scienza del mondo naturale calato nella storia, di una scienza che non può sottrarsi alle proprie responsabilità, non solo quelle etiche tradizionali (cioè verso gli altri uomini), ma soprattutto eco-etiche” (p.97).

Mi piace chiudere con le parole di Edgar Morin tratte da Il metodo.6. Etica: “Si tratta di rigenerare l’etica non per adattarsi al nostro tempo ma, vista la carenza etica del nostro tempo, per adattare il nostro tempo all’etica” (p.175).

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