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Negozio di tendenza in un centro commerciale. Accompagno mia figlia. Musica tecno, ipnotica. Ritmi lenti, cadenzati. I capi non hanno forme corporee, morbide, ma artificiose e taglienti piuttosto. Le scarpe sono pesanti, borchiate. Più che abiti paiono divise. Commessi come soldati di truppa. Vestiti d’ordinanza: t-shirt, jeans strappati, mascherine, strani tagli di capelli, cuffiette. Ripongono gli abiti nelle loro teche, sugli appendiabiti, come ostie consacrate nel tabernacolo. Manichini senza volto. Senz’occhi, labbra, nasi, orecchie. Senza espressione, senza forme. Hanno mani meccaniche, come protesi ortopediche. Un tempo i manichini somigliavano agli umani, oggi hanno sembianze di robot. Avventori simili ai manichini.
Uomini e donne senz’identità, di cui non comprendi neppure il sesso. Tutti seri, contriti. Gli occhi strabuzzati nel tentativo di decodificare i messaggi subliminali che emanano da quegli oggetti del desiderio. Sfiorano i capi, li osservano con venerazione, come fossero reliquie. Ho un’illuminazione: sto assistendo ad un rito religioso, anzi alla più alta espressione della “religione del mio tempo”, come direbbe Pier Paolo Pasolini, del nuovo culto planetario. È il culto che ha svuotato le chiese, che ha abbattuto gli idoli del cristianesimo, che ha prodotto “la prima generazione incredula”, come titola un libro di Armando Matteo. La messa è in corso, nelle navate intorno a me. L’eucarestia si compie con l’assunzione del capo consacrato. I fedeli hanno i volti ieratici di chi compie una cerimonia: apparire, sentirsi parte di una nuova ecclesia senza più il sacro, indossare un’anima col codice a barre.