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Quelle meravigliose nuove generazioni che hanno sfilato in tutto il pianeta, mentre la giovane Greta sbatteva in faccia al mondo intero la sua rabbia contro chi sta distruggendo il loro futuro, hanno aperto uno squarcio sull’indifferenza del sistema politico agli allarmi, alle raccomandazioni, che gli ambientalisti e gli organismi di controllo sovranazionali hanno lanciato, per anni, inascoltati, a volte derisi, a volte contrapposti a negazionisti di pessima qualità.
Un’inettitudine che determina una crisi dopo l’altra in buona parte di quei settori vitali e necessari alla transizione verso un modello di sistema sostenibile e di economia circolare. Prendiamo il riciclo dei rifiuti, sul quale lo Stato italiano balbetta a più riprese proponendo toppe peggiori dei buchi!
Lo sapevate che il riciclo dei rifiuti in Italia è bloccato da quasi un anno? E che le Regioni, che avevano la possibilità di individuare i casi e le condizioni in cui un rifiuto può cessare di essere considerato tale e di autorizzarne il riciclo, sono state fermate da una sentenza del Consiglio di Stato che, da un momento all’altro, ne ha impedito rinnovi e nuove autorizzazioni? Per superare questo grave impasse, il Governo giallo verde aveva inserito nella legge di conversione del cosiddetto decreto Sblocca cantieri, una norma che stabilisce quando un rifiuto cessa di essere tale (End of waste) dopo adeguato processo di recupero, ma che di fatto, ha congelato le autorizzazioni per le attività di riciclo a un quadro vecchio di oltre 20 anni fa, mettendo a rischio la tenuta dell’intero settore.
Il comma, infatti, non ha risolto la situazione di stallo determinata dalla pronuncia del Consiglio di Stato, poiché ha imposto alle autorità competenti di rilasciare le autorizzazioni per il recupero dei rifiuti esclusivamente sulla base dei stringenti criteri individuati, a livello nazionale, dai decreti sul recupero in regime semplificato, risalenti a diversi anni fa. La nuova disciplina infatti, riconosce alle Regioni la possibilità di rilasciare le autorizzazioni caso per caso ma a condizione che si rispetti il DM del 5 febbraio del 1998, ossia una norma di ventuno anni fa, mai aggiornata e adeguata alle nuove tecniche e alle innovazioni intervenute da allora.
Anche le associazioni ambientaliste si sono unite agli operatori del settore per lanciare l’allarme su una situazione che “ha sancito la morte degli impianti autorizzati caso per caso, ossia del sistema che finora ha dato la giusta flessibilità al comparto industriale per raggiungere le performance di riciclo vantate dal nostro Paese – come dichiarano le associazioni di categoria”.
Ci sono, per fare degli esempi concreti, 1,2 milioni di tonnellate di vetro utilizzato nei tubi catodici dei televisori che finiranno in discarica perché l’autorizzazione rilasciata agli impianti di riciclo non è più valida in base alla nuova disciplina. Stessa cosa per il silicio contenuto nei pannelli fotovoltaici, che non ha un decreto End of waste ad hoc.
È una intera filiera del riciclo che è entrata in crisi proprio quando avrebbe dovuto essere accompagnata e sollecitata a migliori performance. Come spiega Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, “negli ultimi sei anni sono stati pubblicati solo due decreti End of Waste: il DM 28 marzo 2018 n.69 per il conglomerato bituminoso e il DM 15 maggio 2019 n.62 sui prodotti assorbenti per la persona. Altri 16 decreti risultano fermi da anni nelle varie fasi di elaborazione. Ad esempio quello sulla gomma vulcanizzata granulare proveniente dal riciclo degli pneumatici fuori uso è fermo all’invio al Consiglio di stato”.