La cura e l’angoscia rappresentano una chiamata alla responsabilità rivolta al singolo, a ognuno di noi. Heidegger, in Essere e tempo (1927), parla dell’uomo e sostiene che la domanda sull’essere è stata sempre formulata male. Il problema dell’essere, non ha nulla di astratto. Parla anche di come viene comunemente intesa l’angoscia. Due argomenti attuali. L’ansia è un sintomo da curare, spesso con gli psicofarmaci, una cura inautentica che assopisce la coscienza e le sottrae lo strumento che potrebbe portarla, a una nuova consapevolezza. E anzichè tentare di addormentarla andrebbe colto, sulla riflessione heideggeriana, il suo valore profondo.

L’angoscia ha la capacità, di fronte alla possibilità di un’esistenza inautentica, di singolarizzare l’uomo. Sull’essere, chiede il filosofo, Che cosa è l’essere?” prepara una risposta in cui l’essere si confonde con l’oggetto. Ma individua chi deve rispondere alla questione. L’uomo. E’ lui a essere coinvolto, non può essere indifferente alla questione sull’essere che lo costituisce. La chiave di volta di Essere e tempo, è la cura. La cura dell’essere, dell’esserci, che è la sua componente fondamentale.  La cura è la struttura stessa dell’esistenza. È l’ansia di possesso, il desiderio, dell’andare verso le cose e verso gli altri. Per Heidegger, esistono due modi di prendersi cura da una parte c’è quella che ci fa sostituire all’altro, agevolandolo davanti alle difficoltà, è un saltar dentro al suo posto; poi c’è la cura del saltar avanti, aiutando l’altro a diventare sé stesso.

La prima porta, a una situazione di dominazione e sottrae l’altro alla sua stessa cura, impedendogli di prendere su di sé la responsabilità della vita. Per Kant è lo “stato di minorità”.  L’altro perno del discorso definisce l’angoscia, come senso di smarrimento profondo di fronte al nulla, altra caratteristica dell’essere umano. L’angoscia ti mette di fronte a te stesso e alla realtà, ti scuote dalle radici per riportarti a te, e ti allontana dall’appiattimento e della medietà.