Lamezia Terme - L’intera carriera di un artista straordinario in un unico spettacolo: sarà al Grandinetti il 26 dicembre con “Tutto Teo” il grande Teo Teocoli, pronto ad interpretare e a rivisitare tutti gli storici, multiformi, esilaranti personaggi nati durante il suo lungo percorso artistico, raccontando stralci della propria esperienza d’attore comico e di uomo di spettacolo, in uno degli eventi clou del 47° MusicAMA Calabria. Ecco un’anticipazione eloquente dei contenuti e soprattutto dello spirito che animerà la serata, tutta a base di sketch, intrattenimento, e una valanga di irriverente divertimento.
I personaggi, veri o inventati, che lei ha interpretato nel corso della sua carriera – e che ora racconterà nello show – sono davvero tanti, da Peo Pericoli ad Adriano Celentano. Qual è il suo preferito, quello che ancora oggi la diverte in particolare mettere in scena?
Sicuramente, è Caccamo, perché mi viene naturale fargli dire cretinate colossali, a raffica. Ad esempio, c’è uno sketch in cui lui racconta il viaggio in macchina verso il Salone del Mobile di Milano – aveva anche un negozio d’Antiquariato, “Cose di altre case” – e dopo tre ore di macchina lui e il tizio strano che gli fa da navigatore vedono ancora il Vesuvio. Li ritrovano a Cipro, dopo due anni. Poi ogni tanto aggiungo qualche battuta nuova, così il personaggio si rinnova. Ultimamente l’ho fatto a Napoli in un teatro pienissimo, e alla fine mi sono strappato la camicia e ho fatto vedere sotto la maglietta bianco-celeste: c’è stata un’ovazione. Cose così a volte funzionano meglio delle parole.
In questo show lei ripercorre tappe non solo della sua carriera, ma anche della sua vita. Si parlerà quindi anche del suo incontro con Salvador Dalì e con Amanda Lear?
Sì, certo. In realtà, entrai nello studio di Dalì per un motivo molto preciso: sua moglie Gala si era innamorata di me. Ma aveva 84 anni, quindi non era chiaramente possibile che ci fosse una storia. Tuttavia mi invitava a casa sua a Portlligat, in Spagna, dove passai diverse stagioni. Il giovedì pomeriggio Dalì teneva delle feste in giardino, un giardino bellissimo, che però aveva sul fondo due pneumatici della Pirelli dai quali usciva uno zampillo d’acqua – anche i grandi artisti non disdegnano la pubblicità. Gala era così innamorata che un giorno mi disse: “Ora ti farò vedere una cosa che nessuno ha mai visto”. E mi fece vedere la sua grande camera da letto, sormontata da una cupola che faceva da cassa da risonanza, e scherzò dicendo: “Se facessimo l’amore qui ci sentirebbe tutto il paese”. Amanda Lear era invece la musa di Dalì, ed era molto bella. Durante le feste ci si abbandonava alla gioia del ballo, ed era pieno di splendide ragazze con gonne vertiginose, più corte dei fianchi. Si facevano follie.
Lei è sempre stato un comico molto “pop”, uno di quelli che piacciono a tutti, senza distinzioni di ceto, schieramento politico, nicchie culturali. Come ci è riuscito? E cosa si prova a far ridere in maniera corale un’intera nazione?
Ci sono riuscito perché sono nato così, con la capacità di far ridere tutti. A scuola mi promuovevano pur di non rivedermi più. Ero sempre sul pezzo, raccontavo storie inventate ai miei compagni che mi facevano da pubblico schierati in fondo all’aula, facevo caciara. Era così ovunque andassi, anche perché venivo dal sud e avevo voglia d’inserirmi, quindi usavo il mio carattere simpatico per far ridere la gente. Dal meridione al settentrione, ci sono sempre riuscito.
Lei è nato in una famiglia originaria di Reggio Calabria, e ha vissuto lì fino all’età di cinque anni. Che legame ha con la Calabria e che immagine ha di questa terra?
La Calabria è talmente bella che forse è per non rovinarla se ci va poca gente. Ha delle potenzialità straordinarie, è quasi tutta sul mare e nel mezzo c’è la Sila che ho attraversato un paio di volte ed è più spettacolare della foresta pluviale. Anche Reggio è straordinaria, in una posizione strategica, sullo Stretto, con un lungomare elogiato da D’Annunzio che lo ha definito “il chilometro più bello d’Italia” – forse perché è morto prima che aggiungessero gli altri quattro di pavimentazione, e così ne ha visto solo uno. Credo che non ci sia una voglia imprenditoriale di attirare turisti, altrimenti non si spiega perché si senta parlare di Puglia, Sicilia, Sardegna, e di Calabria mai. Non so perché ma è così. Eppure non c’è un altro posto dove si passi in dieci minuti dal mare al fresco della montagna. Certo, ai miei tempi c’era tanta povertà, mia nonna si alzava alle 5, andava a messa, usciva alle 5 e mezza e poi andava a lavorare nei campi fino a sera. Anche per questo da mangiare sulla tavola non è mai mancato, ma ugualmente quando ero piccolo i miei per lavoro si sono spostati a Milano. Ricordo ancora i cartelli su alcune porte: “Non si affitta ai meridionali”.
Giulia De Sensi
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