Lamezia, in scena per AMA al Grandinetti “La morte della Pizia” con Patrizia La Fonte: "La Classicità e il mito sono la base del pensiero occidentale"

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Lamezia Terme - Sarà in scena al Grandinetti di Lamezia il 21 febbraio, nell’ambito della Stagione Teatrale di AMA Calabria, lo spettacolo “La morte della Pizia”, con Patrizia La Fonte e Maurizio Palladino. Tratto dall’opera omonima dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt, il lavoro reinterpreta il mito e le verità degli oracoli, ponendo interrogativi ancora attuali, di cui Patrizia La Fonte illustra il senso e i risvolti più profondi.

Nel mondo dei social, di internet, dell’intelligenza artificiale, qual è il significato profondo dell’opera di Dürrenmatt dalla quale è stato tratto questo lavoro sul disorientamento e sulla ricerca della verità?

“In questo lavoro c’è un’adesione molto evidente all’attualità. Se nel mondo antico la trasmissione della verità viene affidata agli oracoli, oggi la stessa funzione è svolta dai mezzi di informazione, che ci disorientano: è come se nessuno ci dicesse mai davvero la verità. Nell’opera di Dürrenmatt, la Pizia, sacerdotessa di Apollo, gli oracoli addirittura se li inventava a caso. Tiresia no: lui li creava in base a un disegno preciso, per intervenire sulle vicende del mondo. Erano comunque fake news, studiate, come ancora accade, per manovrare e manipolare: ieri come oggi è difficile capire quale sia la verità. Un altro tema importante del lavoro è quello della fine di un mondo, di un’epoca. Dürrenmatt parlava dell’Europa di fine ‘800, ma anche oggi assistiamo allo sgretolarsi di alcune convinzioni che sembra preludere all’avvento di qualcosa di oscuro che ci attende. Certo non c’è nulla di triste nello spettacolo. La Pizia e Tiresia muoiono insieme, ma lo accettano con leggerezza: è come una passeggiata”.

Quali sono, se ci sono, i vantaggi nella trasposizione teatrale di un testo come questo? Cosa gli regala in più il teatro?

“Ѐ in realtà la prima volta che viene autorizzata una trasposizione di questo lavoro. L’opera è tanto bella anche solo da leggere, ma il teatro la valorizza perché la incarna, la fa venire fuori. Il testo di per sé è un gioco letterario, il teatro lo rende riconoscibile, e rende riconoscibili i suoi personaggi – che sono sei, interpretati da soli due attori. Le cose raccontate diventano così presenti, riescono a toccare gli animi, a coinvolgere, a far ridere”.

Cosa ha ancora da dire la Classicità, che impregna le vicende narrate, al mondo di oggi?

“In generale, la Classicità ha tanto da dire e da insegnare al pubblico di oggi. Dürrenmatt vive ai primi del ‘900, e la sua è una visione distorta, grottesca, della realtà quanto del mito. Ma il mito può essere stravolto, manipolato, proprio perché è il fondamento solido della nostra cultura, ovvero della cultura occidentale: è la base di quello che pensiamo, nel bene e nel male. Certo qualcosa sta cambiando. Nel secolo precedente al nostro, il male che è stato compiuto – anche efferato – è stato identificato e condannato. Oggi talvolta lo vediamo usato come bandiera: segno che davvero qualcosa si sta sgretolando”.

Lei era già stata a recitare in Calabria? Che immagine ha di questa terra?

“La Calabria è una terra meravigliosa: ha i monti, il male, la terra, la cultura, e ancora non è convinta della grandezza della quale si nutre. A volte è come se essere Calabresi fosse vissuto come un difetto, ma è ora che la gente si senta fiera e orgogliosa del territorio in cui vive e delle sue ricchezze”.

Giulia De Sensi

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