di Antonio Cannone
Lamezia Terme - "Con Stefania Tramonte abbiamo deciso di dare seguito e andare fino in fondo al nostro grido di giustizia che da 33 anni non si placa. Pretendiamo quella chiarezza che anche per altri casi, come l'omicidio dei coniugi Aversa, non c'è, e che un'itera comunità attende da troppo tempo". Francesco Cristiano non si arrende. Parla e vuole che sia fatta giustizia una volta per tutte. Insieme a Stefania Tramonte, all'Associazione antiracket Lamezia e alla Fondazione Trame, il 22 dicembre 2022, ha presentato un esposto alla Dda di Catanzaro, allora ancora retta dal procuratore Nicola Gratteri, per chiedere la riapertura delle indagini sul quel tragico duplice omicidio del 24 maggio 1991 dove il fratello Pasquale e il padre di Stefania, Francesco Tramonte operatori ecologici, furono freddati a colpi di Kalashnikov. Riapertura delle indagini, peraltro, chiesta anche attraverso una raccolta firme nel 2021. Si tratta di una corposa istanza in merito alla situazione in cui versava la città di Lamezia in quel periodo, chiamando in "causa" gli amministratori comunali e facendo riferimento ai capi delle cosche che all'epoca erano interessate al controllo dell'appalto per la raccolta della nettezza urbana, e che la gestivano anche in maniera occulta. E questo nonostante il Comune fosse in grado di gestire la raccolta in modo autonomo. Un aspetto, quest'ultimo, peraltro già conosciuto ma mai indagato fino in fondo. Francesco, con Stefania Tramonte, in qualità di parte offesa, hanno chiesto la riapertura ufficiale delle indagini. Potrebbero dunque aprirsi nuovi scenari su uno dei casi che hanno sconvolto la comunità lametina e non solo.
Su quali presupposti? Ci sono nuovi elementi sui quali la Dda sta indagando?
"Abbiamo ripercorso la vicenda partendo da quello che era stato indicato come esecutore materiale del duplice omicidio, Agostino Isabella, poi assolto. A quella sentenza doveva seguire l'Appello ma il Pubblico ministero dell'epoca lo presentò fuori termine e pertanto fu dichiarato inammissibile. Noi familiari non siamo mai stati sentiti, non sono mai stati sentiti i pentiti e poi è palese che quella fu una strage sì mafiosa, ma dietro la quale c'erano interessi della politica. Tanto è vero che quel Consiglio comunale eletto poche settimane prima dell'agguato, fu poi sciolto per mafia, e per i consiglieri citati nel decreto non vi fu mai un'azione giudiziaria. Uno scioglimento al quale contribuì molto l'informativa redatta dal sovrintendente di Polizia, Salvatore Aversa che venne poi ucciso con la moglie a gennaio del '92. Aversa aveva intuito la matrice della morte di mio fratello e di quella di Tramonte. Ma fu messo a tacere. Nell'esposto noi ci poniamo grandi interrogativi, come quello che sarebbe misteriosamente sparito dalla scrivania di Aversa un fascicolo su tali indagini".
Dopo l’esposto lei è stato sentito nell'estate del 2023 dal procuratore aggiunto, Vincenzo Capomolla.
“Sì. Ho ribadito quello che c'è nell'esposto perché siamo convinti che si possa arrivare alla verità dei fatti, a scoprire i mandanti. Ho ribadito al dottor Capomolla che noi vogliamo che vengano riascoltati i pentiti e i collaboratori di giustizia. Ho chiesto come mai prima si erano messi a disposizione per parlare del fatto, però poi non so come mai tutto si è fermato?".
C'è qualche collaboratore o pentito in particolare?
"In particolare un ex consigliere comunale, nel 2010 aveva fatto delle dichiarazioni dalla quali si capiva chiaramente il movente del duplice omicidio, ma fu fatto passare per uno che si inventava le cose. E dopo d'allora non si fece nulla. E poi ancora un altro che dichiarò quasi tutta la tragica vicenda e non venne creduto. Ho detto, come mai gli inquirenti, chi indaga, non sono andati avanti rispetto alle cose dette? Come mai tutto è finito nel silenzio. Ma, come scriviamo nell'esposto, ce ne sono altri che potrebbero sapere e non parlano".
Nell'esposto si dice che il Comune aveva i mezzi per espletare il servizio. In particolare quella mattina cosa avvenne? Suo fratello e Tramonte non dovevano essere lì.
"Il Comune aveva i mezzi e i dipendenti per poter svolgere quel servizio. Però fu dato in appalto ad altri. La mattina del 24 maggio 1991 due dipendenti della ditta appaltatrice si assentarono, una ditta che aveva 6 dipendenti: 2 autisti e 4 operai. Mio fratello era invalido e faceva il servizio per la strada. Ricordo che spazzava la zona centrale da corso Numistrano-Palazzo di Città fino a corso Nicotera all'altezza dell'edifico scolastico. Lui non poteva svolgere lavoro sui mezzi mobili. Invece quella mattina arrivarono al comune, prima Tramonte e poi lui. Il responsabile del servizio disse che dovevano prestare servizio nella zona dove poi avvenne l'agguato dopo che Bonaddio (Eugenio, terzo operatore ecologico rimasto ferito, ndr) disse che il suo datore di lavoro voleva che lo stesso responsabile mandasse due netturbini comunali perché non aveva personale”.
(A questo punto, ricordiamo per chi legge, che sino al mese di marzo del 1990, a gestire il servizio di raccolta dei rifiuti nel Comune di Lamezia Terme erano state, in sostanza, tre ditte che si erano associate, mentre a partire dal mese di agosto 1990 e sino al 1991, l'affidamento di tale servizio venne affidato in via esclusiva a un'altra ditta, ndr)".
Signor Cristiano ritornando all'esposto. Che idea vi siete fatti sull'operato del Comune?
"Il Comune ha avuto la responsabilità di mandare due dipendenti assunti a lavorare sul camion di un'impresa privata".
Duplice omicidio che inequivocabilmente è legato all'appalto della nettezza urbana e sul quale l’unica persona che poteva fare luce è stata assassinata con la moglie. Parliamo del sovrintendente Salvatore Aversa e della moglie, Lucia Precenzano.
"Sì, purtroppo sì. Quando seppi dell'agguato mi recai in via dei Campioni. Poi corsi da mio padre ad informarlo. Appena apprese della morte di Aversa scoppiò in un pianto disperato dicendomi: hanno ucciso di nuovo Pasquale e Francesco. Aversa a novembre del 1991 chiamò mio padre e gli disse: stai tranquillo che ce li ho in pugno. Stava preparando tutto per incastrare quanti erano coinvolti nell'agguato mortale. Con la morte di Aversa finivano le speranze di poter arrivare alla verità”.
L’esposto alla DDA
Nell'istanza alla Dda, presentata dall’avvocato Santino Piccoli in nome e per conto degli interessati, si legge che le vicende che hanno portato a quell'efferato fatto di cronaca ed il successivo processo "devono però essere considerate in un quadro più ampio che tenga necessariamente conto del contesto politico lametino e, soprattutto, dell’appalto per la raccolta dei rifiuti solidi urbani. Sin da subito infatti il motivo dell’agguato veniva ricollegato agli interessi delle cosche di 'ndrangheta del territorio proprio sulla raccolta dei rifiuti solidi urbani. La stessa Sentenza della Corte di Assise di Catanzaro aveva infatti riconosciuto che “il barbaro eccidio del 24 maggio fatto contro vittime innocenti, umili ma onesti lavoratori che nella loro modesta (e pare neppure continuativa) attività trovavano gli unici mezzi di sostentamento delle proprie famiglie, volle essere un significativo messaggio, tanto più efficace quanto più permeato da bestiale efferatezza, rivolto a tutti, pubblici e privati operatori; un messaggio che preannunziava nuovi equilibri mafiosi e dei quali non poteva non tenersi conto nello spendere i miliardi della nettezza urbana…”.
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