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La Calabria durante il conflitto angioino-aragonese
Scritto da Lametino 5 Pubblicato in Francesco Vescio© RIPRODUZIONE RISERVATA
La pace di Caltabellotta (1302) aveva posto fine, almeno formalmente, allo scontro armato tra la dinastia angioina, di origine francese, e quella aragonese, di origine spagnola, per la successione nell’Italia meridionale continentale e in Sicilia alla monarchia normanno-sveva. Il conflitto, tuttavia, perdurò ancora per decenni tra le due dinastie, da come è possibile desumere dal testo che segue: ”Alla sua morte, il 20 gennaio 1343, Roberto d’Angiò lasciò in feudo per testamento alla nipote Maria il Giustizierato del Val Crati e Terra Giordana [Quest’ultima parte della circoscrizione corrisponde, grosso modo, alla Sila, N.d.R.], comprendente con Cosenza tutta la parte settentrionale della Calabria, dal Tirreno allo Ionio. A Giovanna d’Angiò, la nipote primogenita nominata duchessa di Calabria, aveva lasciato il trono, perché gli succedesse in Regno Siciliae ultra citraque Pharum, al di qua e al di là dello Stretto di Messina. Ogni effetto del trattato di Caltabellotta, che aveva riconosciuto a vita Federico come re di Trinacria, si era da molto tempo vanificato con la ripresa della guerra, e comunque con la morte di Federico III nel 1337. Sicché la Sicilia, sul cui trono era prima succeduto Pietro II, poi nel ’42 il figlio Luigi o Ludovico, aveva continuato, come si è visto, a essere rivendicata, non solo formalmente, dai sovrani angioini.
Anche dopo la discesa in Italia di Federico il Bavaro, Roberto d’Angiò aveva ripetuto varie spedizioni contro l’isola, sfruttandone la difficile situazione interna e il temporaneo tradimento di alcuni baroni siciliani, con diverso successo, ma con risultati sempre effimeri. Nella seconda metà del ’44, più che esservi una recrudescenza degli attacchi siciliani contro la Calabria, si rinnovarono i timori da parte del governo napoletano, come dimostrano le misure che furono prese tra settembre e novembre. Si cercò di regolarizzare il pagamento delle milizie e dei castellani […] Dalla Calabria ci si doveva anche occupare del vettovagliamento del presidio angioino di Milazzo, sulla costa tirrenica della Sicilia [...] Si provvide inoltre a riparare le mura della città di Reggio. Nel 1345 risorsero le difficoltà per il pagamento delle milizie e delle guarnigioni” (Salvatore Fodale, La Calabria angioino – aragonese, in ‘Storia della Calabria Medievale- I Quadri generali’, Gangemi Editore, Roma – Reggio Cal., 2001, pp.214-215). C’è, inoltre, da porre in rilievo il particolare status giuridico del Regno angioino come Stato vassallo della Santa Sede; in alcuni casi il Pontefice non dava solo gli indirizzi generali, ma interveniva su atti specifici, come autorità suprema; il brano successivo offre un ragguaglio abbastanza significativo del rapporto Pontefice – sovrano angioino in quel momento storico: “Il pontefice avignonese Clemente VI, soppresso il consiglio di reggenza istituito per testamento da Roberto d’Angiò, e affermato il diritto della sede apostolica alla amministrazione del Regno, aveva assunto il baliato [Termine arcaico: ufficio di balio, aio, cioè educatore, oggi si direbbe tutore, N.d.R.] della regina Giovanna, affidandone l’esercizio al legato apostolico, il cardinale Aimery de Châtelus.
Questi provvide ad esaminare gli atti compiuti dalla regina e dal consiglio di reggenza, revocando quelli che riteneva pregiudizievoli agli interessi del Regno e della Chiesa. Obbligò Giovanna a revocare tutti gli officiali da lei nominati in Calabria, sostituendoli con altri da lui designati (ma non cambiarono i due giustizieri). Inoltre il legato ricevette in nome della regina il giuramento di obbedienza di tutto il ducato di Calabria, del suo maestro portolano, del Giustizierato del Val Crati e Terra Giordana, del giustiziere e del capitano di Calabria, del capitano di Reggio e probabilmente anche di tutti gli altri officiali. Con un atto di obbedienza a Clemente VI, il 3 aprile 1345, Giovanna I d’Angiò aveva revocato le nomine da lei compiute e riconosciuto espressamente al legato apostolico, iure administrationis [Termini in latino: «per potestà, diritto, prerogativa di amministrazione», N.d.R.], spettante alla sede apostolica per diritto feudale, il potere di istituire i nuovi officiali che amministrassero il Ducato a nome della regina stessa e seconda la formula concordata. Dubbia è però la concreta applicazione dell’accordo ed evidente nei fatti la resistenza della regina e dei suoi consiglieri alle discutibili pretese della sede apostolica” (Salvatore Fodale, Ibidem, p.215). Va ricordato, al fine di una chiara comprensione del testo precedente e di quello successivo, che sia durante la dominazione angioina sia durante quella aragonese, il titolo di Duca di Calabria era attribuito al designato erede al trono, pertanto nel Reame era un titolo feudale di alto prestigio, secondo solo al quello reale. Nel regno vi furono diversi conflitti armati per la successione fra i diversi rami angioini, anche con frequenti interventi della Sede Apostolica a favore dell’uno o dell’altro dei pretendenti al trono; di uno di questi casi si tratta nel passo che segue: ”Non passò molto e la lotta per il dominio del Reame napoletano si riaccese più violenta e acquistò un carattere che fin allora non aveva avuto: un nuovo elemento e più forte intervenne nelle vicende di quelle lotte dinastiche e feudali che da’ tempi di Giovanna I aveano travagliato il Napoletano, e fu la dinastia aragonese di Sicilia per rivendicarvi gli antichi diritti [...] Nel 1417 era morto Luigi II d’Angiò, e di lì a qualche anno, il figliulo Luigi III, appoggiato dal Papato e da parte del baronato tentò la conquista del Napoletano, e vi sarebbe riuscito se Giovanna non fosse subito ricorsa ad Alfonso d’Aragona, adottandolo quale figlio e nominandolo erede presuntivo della Corona. Come tale gli fu concesso nel 1421 il dominio del ducato di Calabria. Ivi la guerra si rinnovò più violenta.
La parte settentrionale, ossia Val di Crati, era per l’Angioino; mentre la parte centrale e meridionale, cioè Terra Giordana e Calabria propriamente detta, parteggiavano per l’Aragonese” (Oreste Dito, La Storia Calabrese – E la dimora deli Ebrei in Calabria dal Secolo V alla Seconda Metà del Secolo XVI – Nuovo Contributo per la Storia della Quistione Meridionale, Edizioni Brenner, Cosenza, ristampa 1979, pp. 198-199). La stessa regina due anni dopo revocò l’adozione d’Alfonso d’Aragona e procedette all’adozione di Luigi III d’Angiò (Oreste Dito, Ibidem, p. 205). Ma anche questa soluzione entrò in crisi, mentre continuava la lotta con Alfonso d’Aragona, tali avvenimenti vengono così delineati nel passo successivo. “Nel 1428 Luigi III per gl’intrighi di Ser Giovanni Caracciolo fu allontanato dalla Corte e mandato a governare la Calabria, stabilendosi nel castello di Cosenza. Continuava pertanto la lotta con Alfonso; nello stesso anno Reggio passava dalla parte di Luigi III, e con lui erano i principali baroni calabresi, fra i quali il Ruffo. L’abbandono del baronato calabrese avea non poco contribuito alla perdita della Calabria da parte di re Alfonso” (Oreste Dito, Ibidem, p. 206). La morte della regina Giovanna II (1435) provocò l’inizio di un nuovo conflitto tra Renato d’Angiò, fratello ed erede del defunto Luigi III, che precedentemente era stato nominato successore dalla regina, ed Alfonso d’Aragona, l’ altro pretendente al trono. Il conflitto, con alterne e aggrovigliate vicende, si concluse con il successo dell’aragonese nel 1442 (Francesco Lemmi, Storia d’Italia fino all’Unità, Sansoni, Firenze, 1965, pp.161-168). Tale evento pose fine alla dinastia angioina nel Regno di Napoli.