Reggio Calabria - I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno eseguito, a Taurianova e Cinquefrondi, un'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip nei confronti di 11 persone, accusate di essere legate o, comunque, di avere favorito le cosche Zagari-Fazzalari e Avignone operanti a Taurianova. Gli arresti sono giunti a conclusione di un'indagine - denominata "Spes contra Spem" - coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria diretta dal procuratore capo Giovanni Bombardieri. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, detenzione illegale di armi anche da guerra, esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sostituzione di persona, tutti aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose.
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I destinatari della misura cautelare, tutti originari di Taurianova, sono:
Alessi Antonino, 32 anni
Francesco Avati, 39 anni
Domenico Avignone, 46 anni
Giuseppe Detto Enzo Cannizzaro, 51 anni
Annalisa Caridi, 51 anni
Giuseppe De Raco, 57 anni, Sottoposto agli arresti domiciliari;
Claudio Laface, 57 anni
Giuseppe Laface, 35 anni
Rocco Leva, 46 anni
Marzio Pezzano, 51 anni
Pasquale Zagari, 57 anni
Sono inoltre indagati in stato di libertà: R.A., 66 anni, R.A., 50 anni, C.M., 49 anni e R.G., 41 anni.
Boss decidevano acquirenti terreni
Sono Pasquale Zagari e Domenico Avignone i principali indagati arrestati oggi nell'operazione "Spes contra spem". I loro nomi compaiono nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Tommasina Cotroneo su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri, dell'aggiunto Gaetano Paci e del sostituto della Dda Giulia Pantano. Dieci indagati, quindi, sono finiti in carcere e uno ai domiciliari. Altre quattro persone, inoltre, sono indagate in stato di libertà. I carabinieri hanno ricostruito le estorsioni ai danni di alcuni imprenditori che, interrogati dagli investigatori, hanno ammesso le vessazioni e le richieste estorsive subite dai due principali indagati: i boss Domenico Avignone e Pasquale Zagari. Quest'ultimo, anche evocando esplicitamente i morti della faida di Taurianova e la sua capacità di risolvere i problemi con la violenza, ha costretto imprenditori e cittadini a dazioni in denaro, sia per rafforzare la cosca e sia per il mantenimento delle famiglie in carcere. Le vittime sono state anche costrette ad abbandonare i locali utilizzati per le loro attività commerciali.
Secondo i pm, Zagari si è intromesso nella compravendita di terreni, chiedendo somme di denaro per autorizzare l'acquisto o comunque coartando la loro volontà nelle scelte imprenditoriali e private in favore di soggetti a lui vicini. L'inchiesta ha consentito di accertare anche il ruolo di Domenico Avignone, figlio dello storico boss Giuseppe Avignone già condannato all'ergastolo e protagonista dalle Strage di Razzà del 1977, quando, in uno scontro a fuoco seguito alla scoperta di un summit 'ndranghetista, furono uccisi i carabinieri Stefano Condello e Vincenzo Caruso. Al momento ricercato e anche lui già condannato per 'ndrangheta, Domenico Avignone, offriva "protezione" non richiesta a alcuni imprenditori, risolvendo loro problematiche o rassicurandoli per lo svolgimento "in sicurezza" del loro lavoro. Avignone si sarebbe intromesso nell'acquisto di terreni e immobili, arrogandosi il potere di rilasciare un 'nulla osta' in favore di uno piuttosto che di altri e avendo il potere di estromettere eventuali soggetti non graditi. In cambio le vittime subivano quella che la Dda definisce una sorta di "estorsione ambientale": somme di denaro che dovevano pagare al boss per il suo servizio. Nel corso delle indagini i carabinieri hanno trovato un vero e proprio arsenale a disposizione degli indagati: due fucili mitragliatori "Zastava", armi da guerra, un fucile "Sauer" calibro 12 "Beretta" con matricola punzonata, numerose munizioni di vario calibro, due giubbotti antiproiettile, nonché una bomba a mano da guerra modello "m53 p3" di provenienza slava.
Boss da 'testimone redenzione' a carcere
Da boss a collaboratore di giustizia dopo aver tentato l'evasione nel 2009. E poi un apparente percorso di "riabilitazione sociale", partecipando addirittura a dibattiti, convegni e incontri come testimone di redenzione e contro l'ergastolo ostativo. Ma Pasquale Zagari, secondo gli investigatori, una volta scarcerato aveva ripreso a fare il capocosca dopo essere tornato a Taurianova. E' quanto emerso dall'operazione "Spes contra spem" condotta dai carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria e coordinata dalla Dda nell'ambito della quale è stato arrestato insieme ad altre 10 persone. Da vecchio 'ndranghetista, stando alle indagini, il boss ha tentato di ristabilire il controllo del suo territorio. Era tornato nel suo paese di origine da capo e reggente, referente mafioso per la risoluzione di qualsiasi questione, anche privata. In sostanza, Zagari aveva ripreso a chiedere il "pizzo" approfittando di essere l'unico esponente di rilievo della famiglia ad essere libero. I suoi fratelli, infatti, sono i boss Giuseppe e Carmelo Zagari: il primo è un ergastolano con sentenza definitiva mentre il secondo è stato condannato dalla Corte di Appello di Reggio Calabria nell'ambito processo "Terramara Closed".
Il loro posto, a Taurianova, è stato preso da Pasquale, uno dei principali protagonisti della faida di Taurianova dei primi anni '90. Per questo era stato condannato all'ergastolo, pena però poi rideterminata in 30 anni di reclusione, conclusi con un periodo di sorveglianza speciale nel Nord Italia. Da storico 'ndranghetista, ha offerto e imposto la sua protezione mafiosa, non richiesta, alle vittime, in cambio di aiuti economici e favori, il tutto per tentare di ristabilire il controllo egemonico del territorio e ottenere l'assoluto riconoscimento di "capo". Proprio a causa della violenza e insistenza delle sue pretese, nell'ottobre 2020 è stato arrestato in flagranza dai carabinieri di Taurianova, in occasione dell'ennesima "visita" ad una delle vittime. Quando è stato arrestato di nuovo aveva finito di scontare la sua pena da appena otto mesi. Nell'inchiesta compaiono anche altri soggetti che, benché apparentemente estranei a contesti mafiosi, si erano rivolti a vario titolo a Pasquale Zagari per risolvere forzatamente in loro favore le controversie in corso con alcune delle vittime delle condotte estorsive.
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