Lamezia, processo "Crisalide": in aula il collaboratore di giustizia Umberto Egidio Muraca

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Lamezia Terme - Collegato in videoconferenza da un sito riservato, è stato ascoltato questa mattina nell’aula Garofalo del tribunale lametino nell’ambito del processo “Crisalide”, Umberto Egidio Muraca, diventato collaboratore di giustizia nell’ottobre del 2012. Il collaboratore, davanti al presidente De Nino e, a latere, i giudici Reda e Pezzimenti, ha risposto alle domande del Pm Andrea Buzzelli soffermandosi sul “passaggio” con i Giampà. “Io ho partecipato in due diverse organizzazioni, Torcasio e Giampà” racconta in aula affermando di non aver però mai ricevuto nessuna dote di ‘ndrangheta. Poi avvenne “una rapina sbagliata in una zona sotto influenza dei Giampà” al quel punto racconta di essersi incontrato proprio con Giuseppe Giampà, allora ai vertici della cosca, per chiarire quella circostanza. Da qui ci fu un primo avvicinamento con la famiglia dei Giampà. Muraca parla anche della sua volontà “distaccarsi dagli altri: stavo formando un mio gruppo autonomo” che lo inquadra vicino “ai piccoli dei Torcasio”. Poi un altro “sconfinamento”, che si sarebbe verificato nel 2011 quando aveva “sconfinato” nel richiedere un’estorsione ad un distributore di benzina. Il boss Giuseppe Giampà, a fine marzo dello stesso anno, aveva deciso di “fargliela pagare” compiendo un agguato contro di lui. Dopo questo episodio, racconta ancora Muraca, cercò di avvicinarsi a Giuseppe Giampà che come prova “mi disse che dovevamo uccidere Francesco Torcasio”. Anche se, tiene a precisare il collaboratore “io avevo sempre il mio gruppo autonomo”.

Rispondendo alle domande di Pubblico Ministero, difesa e collegio, il collaboratore di giustizia ha cercato di delineare la figura di Danilo Fiumara. "Mai fatto nessun tipo di reato con lui" dice subito Muraca. Ha poi raccontato di un particolare episodio, che però non andò secondo i piani per diverse ragioni che il collaboratore oggi non riesce a ricordare nei dettagli, in merito ad una presunta cessione di sostanza stupefacente. Il collaboratore non riesce nemmeno ad inquadrare nello specifico come avvenne quell’incontro con Fiumara, che afferma di conoscere saltuariamente.

L’attenzione si è spostata poi su Giuseppe Paladino. Il collaboratore ricorda che "ho parlato solo col padre che si è presentato a casa mia in merito ad una richiesta di voti". Voti che, riferisce in aula il collaboratore, sarebbero serviti “per il figlio” e che “fu mandato dai Torcasio". Non riesce però a ricordare in quale anno sarebbe avvento questo incontro, così come non ricorda il nome del padre di Paladino o che tipo di elezioni erano se comunali o altro. L’avvocato Canzoniere, che difende Paladino, si è riservato poi di una produzione documentale. Il processo è stato rinviato al 17 maggio quando saranno ascoltati altri collaboratori. Gli imputati in questo processo: Vincenzo Strangis, Alex Morelli, Antonio Torcasio, Ivan di Cello, Alfonso Calfa, Francesca Antonia De Biase, Giuseppe Costanzo, Flavio Bevilacqua, Piero De Sarro, Giuseppe Paladino, Danilo Fiumara. Le parti civili sono: i fratelli Francesco e Pasquale Butera, Antonio Crapella; la Comunità Progetto Sud e Luigi Angotti, l’associazione Antiracket Ala; la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell’Interno con l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro e il Comune di Lamezia.

R.V.

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