© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
In quanti paesi del mondo vi sono popoli che “resistono” o perseguono la “liberazione”? Moltissimi, soprattutto in Africa, Asia, Sud America. Un esempio per tutti, molto vicino a noi: i palestinesi. Eppure a questi popoli non mandiamo armi per difendersi ed alimentare le loro lotte. Se, come italiani, dovessimo mandare armi a tutti i popoli in lotta per la libertà, l’intera industria italiana dovrebbe riconvertirsi. E sicuramente non basterebbe. Ma se anche tutti i paesi della Nato si organizzassero per spedire armi a tutti i popoli che lottano per la libertà nel mondo, alimenteremmo un’immane carneficina. Perché di regimi totalitari, corrotti, violenti nel mondo ve ne sono davvero tanti.
E, a pensar bene, anche in paesi “democratici” (dove i governanti si scelgono attraverso libere elezioni), vi sono persone che “resistono” allo strapotere delle grandi concentrazioni finanziarie che condizionano in ogni modo le nostre vite, ricattano la politica attraverso i loro lobbisti, posseggono i debiti degli stati, sono padroni dei mezzi di informazione di massa e con essi dei più grandi strumenti di persuasione. Anche in questi paesi è in atto una silenziosa, non violenta lotta di “liberazione”.
Ecco perché non vale a nulla paragonare la “liberazione” dal nazi-fascismo che abbiamo ricordato il 25 aprile con altri aneliti di libertà esplosi a distanza di ottant’anni e in contesti e condizioni completamente diversi. Non serve perché la guerra che ci sta tenendo col fiato sospeso in questi ultimi tre mesi ha storia, motivazioni, dinamiche e forme completamente diverse da quella che si combattè in Italia. Occorrerebbe smetterla di aggredire continuamente chi è critico verso la posizione dell’Europa e dell’Italia in questa guerra (quella degli Stati Uniti è, invece, perfettamente coerente con la politica guerrafondaia, di ingerenza e di destabilizzazione di altri paesi che li caratterizza quantomeno dalla seconda guerra mondiale in avanti), definendolo “putiniano”. Questa sì che è una forma di intolleranza! Ed è la dimostrazione più evidente che anche dove dovrebbe esserci libertà di opinione (badate bene: “opinione” non significa verità, ammesso che delle verità esistano in questa comunicazione della guerra intrisa di opposte propagande), in realtà, per usare il pensiero critico è necessario “armarsi”, non certo di cannoni e missili anti-carro, ma sicuramente di tanto coraggio.