Catanzaro - Profonde disomogeneità territoriali caratterizzano la dotazione di posti letto ospedalieri pubblici in Italia, con il Sud che fatica a garantire adeguati standard di assistenza sanitaria rispetto al Nord. C’è una carenza cronica nelle regioni meridionali: la Calabria registra il dato più basso con 315,9 posti letto complessivi ogni 100mila abitanti, seguita dalla Campania con 337,8 e dalla Basilicata con 356,6. È quanto emerge da un report del Centro studi di Unimpresa, secondo cui le regioni del Nord e alcune del Centro, in controtendenza rispetto a quelle meridionali, si distinguono per un sistema più attrezzato e performante. Il Mezzogiorno soffre carenze diffuse sia nei posti letto per acuti che nelle strutture per lungodegenza e riabilitazione, con percentuali di copertura inferiori alla media nazionale.
La Calabria, in particolare, mostra il dato peggiore per la lungodegenza, pari solo al 5% del totale, mentre la Campania e la Sicilia evidenziano valori modesti anche nel segmento riabilitativo. Il Piemonte guida la classifica con 493,3 posti letto ogni 100.000 abitanti, seguito dalla Valle d’Aosta con 456,1 e dalla Lombardia con 449,6, tutte ampiamente sopra la media nazionale di 390,0. Il Friuli-Venezia Giulia e la Sardegna eccellono nella percentuale di posti letto per acuti, rispettivamente al 93%, segno di un’organizzazione centrata sulla gestione tempestiva delle emergenze. Trento si distingue invece per il primato nella lungodegenza, con 36 posti letto ogni 100.000 abitanti, mentre il Molise registra il dato più alto nella riabilitazione, con 60,8 posti.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, che ha rielaborato dati della Corte dei conti e del ministero della Salute, le differenze regionali nei posti letto delle strutture di ricovero pubbliche per acuti, lungodegenza e riabilitazione nel 2021 evidenziano significative disparità sia in termini assoluti sia relativi, con implicazioni dirette sulla capacità del sistema sanitario di rispondere alle esigenze della popolazione. Partendo dai dati complessivi, il Piemonte registra il valore più alto con 493,3 posti letto ogni 100mila abitanti, ben al di sopra della media nazionale di 390,0 (+61,52 posti, pari al 16%): questo dato, insieme alle elevate percentuali di acuti (80%) e riabilitazione (15,2%), rivela che si tratta di una struttura sanitaria particolarmente bilanciata e performante. Al contrario, la Calabria si colloca all’estremo opposto, con 315,9 posti letto complessivi, ben al di sotto della media nazionale (-74,71, pari al -19%), evidenziando un sistema con carenze croniche, nonostante un valore relativamente alto per la riabilitazione (13,7%).
La lungodegenza, che rappresenta una quota minoritaria del totale in tutte le regioni, mostra grandi variazioni. Trento registra il valore massimo con 36 posti letto per 100.000 abitanti, pari al 9% del totale complessivo regionale, mentre il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia si attestano ai livelli minimi, rispettivamente con 6 e 3,7 posti, pari a quote marginali del 2% e 1%. Questo squilibrio riflette una diversa strategia sanitaria regionale, con il Trentino-Alto Adige che si distingue per un’attenzione maggiore verso le cure post-acute e di lungo periodo. Le regioni meridionali, come la Campania (13,2 posti, 4%), mostrano valori relativamente bassi, suggerendo un sistema maggiormente focalizzato sugli acuti e sulla riabilitazione.La riabilitazione è particolarmente sviluppata in alcune regioni come il Molise (60,8 posti letto, pari al 14,9%), il Trentino-Alto Adige (72,5 a Trento, pari al 17,7%) e il Lazio (52,8 posti, pari al 13%), evidenziando una buona capacità di supporto ai pazienti nella fase di recupero funzionale. D’altro canto, regioni come la Sardegna (15,8 posti, pari al 4,3%) e la Sicilia (39,0 posti, pari all’11,2%) si posizionano nella parte bassa della classifica, con una capacità inferiore di offrire servizi riabilitativi, nonostante una popolazione spesso caratterizzata da un’alta prevalenza di malattie croniche.
Per quanto riguarda i posti letto per acuti, che costituiscono la componente dominante in quasi tutte le regioni, il Centro Studi Unimpresa rileva che il Friuli-Venezia Giulia e la Sardegna registrano la percentuale più alta (93%), seguiti dal Veneto (87%) e dalla Puglia (88%). Questi dati indicano una chiara priorità regionale verso le cure ospedaliere ad alta intensità. Tuttavia, il numero assoluto di posti letto per acuti è particolarmente basso in regioni come la Campania (295,2, pari all’87% del totale) e la Calabria (257,4, pari al 72% del totale), riflettendo non solo una carenza generale di risorse ma anche una possibile saturazione delle strutture sanitarie locali. Le differenze rispetto alla media nazionale evidenziano uno squilibrio territoriale radicato. Regioni settentrionali come il Piemonte (+61,52), la Valle d’Aosta (+48,28) e la Lombardia (+45,26) si distinguono per una dotazione complessiva superiore, mentre regioni meridionali come la Calabria (-74,71), la Campania (-36,86) e la Basilicata (-40,42) evidenziano un gap sostanziale, che impatta direttamente sulla capacità di offrire assistenza adeguata ai cittadini. Questo squilibrio geografico non è solo una questione di dotazione numerica ma riflette anche scelte politiche e gestionali differenti, con le regioni del Nord generalmente più efficienti nell’organizzazione e nell’utilizzo delle risorse sanitarie rispetto a quelle del Sud. In sintesi, le disparità regionali nei posti letto ospedalieri evidenziano una polarizzazione significativa tra Nord e Sud Italia, con le regioni settentrionali generalmente più dotate e meglio organizzate rispetto a quelle meridionali. 'Questa disomogeneità solleva interrogativi sulle capacità del sistema sanitario nazionale di garantire equità e uniformità nei livelli di assistenza, lasciando aperta la necessità di interventi mirati per colmare il divario territoriale e per migliorare, quindi, l’equità di accesso e garantire un sistema sanitario realmente omogeneo su tutto il territorio nazionale', commenta il consigliere nazionale di Unimpresa, Marco Massarenti. 'Questi numeri evidenziano una disparità strutturale che riflette non solo la capacità organizzativa delle singole regioni, ma anche le differenze di investimento e pianificazione sanitaria, lasciando aperti interrogativi sulla necessità di politiche di riequilibrio per garantire livelli di assistenza omogenei su tutto il territorio nazionale. E poi c’è l’impatto sociale: dove i numeri mancano, il carico passa alle famiglie, alle comunità, alle tasche di chi deve arrangiarsi. Il principio di universalità del Servizio Sanitario Nazionale sbiadisce, lasciando spazio a un’iniquità che non è più solo economica, ma esistenziale. L’efficienza genera attrattività: professionisti, risorse, innovazione si muovono dove c’è organizzazione, creando un ciclo virtuoso che rafforza chi è già forte. Ma il gap si allarga, e il prezzo, come sempre, lo paga chi è più debole. La sanità italiana, specchio di un Paese diviso', aggiunge il consigliere nazionale di Unimpresa.
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