Lamezia Terme - Un inizio in grande stile per la nuova Stagione Teatrale di AMA Calabria, che porta al Grandinetti il 24 ottobre alle 21 una delle commedie più note del grande Eduardo: “Uomo e Galantuomo”, una pièce storica del repertorio non solo napoletano ma italiano tout court. Ad interpretarla due grandi nomi del teatro, conosciuti anche a livello europeo: Geppy Gleijeses e suo figlio Lorenzo, giovane talentuoso con una carriera alle spalle già fitta di riconoscimenti, che lo vede protagonista anche sul grande schermo. Sarà lui a raccontare lo spettacolo e il lungo sodalizio, non solo artistico, che lo lega al suo coprotagonista.
Lei ha una carriera brillante, anche cinematografica, ma ha cominciato con il teatro, e in questa commedia reciterà al fianco di suo padre, come agli esordi. Qual è il suo rapporto con lui, in scena e fuori, e qual è la cosa più importante che le ha trasmesso sul mestiere d’attore?
“Ho un ottimo rapporto con mio padre, è una delle persone più importanti della mia vita. Artisticamente e non solo, sono quello che sono grazie a lui: è stato il mio primo Maestro, ed è stato fondamentale nella mia crescita e nella mia formazione. Anche i miei percorsi in ambiti specifici più lontani dalla sua attività – teatro sperimentale, teatro danza – sono frutto di un dialogo e di un confronto con lui. Mi ha fatto capire per prima cosa il carico d’abnegazione e di serietà che ci vuole in questo mestiere. Molti dall’esterno pensano che vivere di teatro sia facile, divertente, quasi uno svago. Invece chi lo fa seriamente deve lavorare duro, senza sosta, ed essere pronto anche a sacrificare affetti, relazioni, vita quotidiana”.
“Uomo e Galantuomo”, è una delle commedie più celebri di Eduardo. Qual è la sua particolarità rispetto ad altre commedie e cosa la rende grande?
“Quella che rappresenteremo è la prima commedia di Eduardo: è da lì che è partito per rivoluzionare non solo il teatro napoletano ma sicuramente anche quello italiano. Le commedie di suo padre, Eduardo Scarpetta, le cosiddette ‘Scarpettiane’, in voga fino 1922, erano più vicine alla commedia dell’arte: mettevano in scena tipi e maschere farsesche, con la finalità di scatenare il riso attraverso giochi e lazzi. De Filippo innesta su questo teatro tradizionale di farsa l’analisi della realtà: l’approfondimento psicologico dei personaggi e del loro quotidiano, quello del contesto storico e sociale in cui vivono. Innova così la tradizione e la trasforma attraverso una nuova concezione di teatro, che segnerà profondamente la produzione successiva a livello nazionale”.
Lei è una persona giovane, pensa che il teatro abbia ancora qualcosa da dare alle nuove generazioni? Per lei, a livello personale, cosa significa proseguire su questa strada artistica?
“Il teatro ha tantissimo da dare, il punto sarebbe dare al teatroi risorse per farlo. Se invece si taglia – così come si taglia la scuola, l’università, la sanità pubblica –, e se fare l’attore significa spesso fare una vita di stenti, allora è normale che il teatro lentamente non darà più niente a nessuno: sarà relegato a hobby, e un hobby non cambia la vita. Invece, se si volesse investire, le sue applicazioni sarebbero tantissime: si usa per curare le persone con disagio mentale, per integrare i profughi africani che fuggono dalla guerra, per recuperare i ragazzi di strada, per far crescere giovani che portino alto il nome del teatro italiano all’estero. Per fare un esempio, ho tenuto alcuni anni fa dei laboratori a Scampia, finanziati dalla regione con un impegno di circa tre anni: oggi le fiction italiane sono piene di volti provenienti da quei laboratori, volti di ragazzi nati in famiglie che il teatro non sapevano nemmeno cosa fosse. Proseguire su questa strada per me significa anche questo, ma al momento le condizioni non sono affatto favorevoli”.
Che immagine ha della Calabria e di Lamezia?
“Io sono cresciuto in Calabria, e in parte mi sento anche calabrese: infatti, mio padre era il direttore del Teatro Stabile di Calabria. Vedo qui le stesse difficoltà che vedo in tutto il sud Italia. La cultura avrebbe bisogno di investimenti, non solo a livello centrale ma anche da parte delle singole regioni. Questo genererebbe modalità d’aggregazione più sane, e ci salverebbe da un futuro fatto di vuoto. Ma i funghi, come si dice, nascono solo se piove”.
Giulia De Sensi
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