Lamezia Terme - Gli sportivi di fede biancoverde confidano nella grande esperienza di Massimo Morgia per tornare finalmente a vedere la Vigor Lamezia chiudere in prima posizione un campionato. Spezzare quella sorta di incantesimo malefico che dal 1987, anno dell’ultimo trionfo sul campo, sembra essersi impadronito di un club ad ogni modo storicamente poco avvezzo alle grandi gioie. Basti pensare che nelle ultime stagioni, quelle post Dirty Soccer, non sì è riusciti ad arrivare primi nemmeno in Promozione, Prima, Seconda o Terza Categoria. L’Eccellenza la si è disputata due volte (2016-17 e 2019-20) chiudendo sempre in terza posizione, sebbene nell’ultima annata al momento dell’interruzione per il Covid-19. Trent’anni di carriera da allenatore spesi tra serie C1, C2 e, nelle ultime sette stagioni, D. Il prossimo campionato calabrese di Eccellenza costituirà dunque un’assoluta prima volta per Morgia. “Non sono venuto né per la serie C, né per la D e né per l’Eccellenza, ma semplicemente perché il presidente mi ha convinto con il suo progetto. Ho scelto la persona e le sue idee, che poi sono anche le mie. Peraltro, la categoria non mi è mai importata quando ero nel pieno della mia carriera di tecnico, figuriamoci ora”.
Negli anni l’allenatore romano di nascita, ma ormai toscano di adozione, si è creato la fama di anticonformista. “Tutti mi descrivono così – ammette - ma io mi sento una persona del tutto normale che vive il calcio con passione, abituata a dire le cose viso a viso, parlando un solo linguaggio con tutte le componenti: società, calciatori, tifosi e media”. Tre i campionati sinora vinti dal baffuto tecnico: a Marsala, dalla C2 in C1, e, in entrambi i casi dalla D in C, con Pistoiese e Robur Siena. Due volte, invece, si è dovuto accontentare del secondo posto: a Palermo, in C1, e, due anni orsono, alla guida del Mantova dove, dopo aver perso il lungo testa a testa con l’altra nobile decaduta Como, l’allora sua squadra è stata sconfitta dalla Pro Sesto nella finale play-off. Prima di arrivare a Lamezia ha invece allenato a Chieri, in D, con la squadra torinese nona al momento dello stop. Trattasi comunque della sua seconda esperienza in Calabria, avendo già guidato il Catanzaro nel campionato 2001-02 di serie C2 (sesto posto finale). Tante, dunque, le piazze blasonate nelle quali ha lavorato. “Sono stato bene dappertutto. Per mia fortuna ho trovato amici e gente perbene in tutta Italia. A parte le emozioni, vedi le promozioni e le inevitabili delusioni, che mi ha regalato in campo, nonché qualche beneficio economico, essendo comunque, anche in queste categorie, dei privilegiati, la cosa più bella che mi ha dato il calcio è stata la possibilità di girare tutta l’Italia, dal profondo nord all’estremo sud. Il che mi ha consentito di ampliare le mie conoscenze, di abituarmi a culture e modi di pensare estremamente diversi. Ovunque sono andato mi sono sentito sempre un ospite, e da tale mi sono comportato. Devi essere sempre tu ad adattarti all’ambiente in cui vai, e non viceversa. Questo è l’aspetto più importante di chi, come il sottoscritto, ha fatto una vita da ‘zingaro’ del pallone”.
Nota ormai da tempo la filosofia calcistica cara alle squadre di Morgia. “Il mio modo d’intendere il calcio prevede un gioco non certo votato al risparmio. Mi piace attaccare con più persone che giochino possibilmente palla a terra. Squadre piacevoli da vedere per chi viene allo stadio. Vincere praticando al contempo un gioco gradevole, in modo da riavvicinare anche le famiglie e i bambini; ovvero tutto quel tessuto sociale che ultimamente noi addetti ai lavori abbiamo un po’ contribuito ad allontanare”.
In vista della nuova stagione resta, tuttavia, l’incognita legata al coronavirus. Inutile nascondere come non sia affatto certo che il campionato inizierà realmente il prossimo 27 settembre. “Purtroppo, dobbiamo fare i conti con questo maledetto virus. Speriamo finisca tutto il prima possibile. Anche perché se il calcio inizia a fare a meno del pubblico, diventa play station e a me non piace per niente”.
Quattro le trattative di mercato ufficializzate nelle ultime 72 ore. Tre centrocampisti, due dei quali, Voltasio e Giacinti, di ritorno a distanza di qualche stagione, e un attaccante. Tutti elementi che hanno sinora giocato sempre in C e D. Ovvio che, come già avvenuto con Giacinti, arriveranno in buona parte elementi già avuti alle proprie dipendenze dal tecnico sessantanovenne. In difesa, ad esempio, seguendo tale filo logico potrebbe arrivare il difensore Luigi Manzo, ex Mantova e Nocerina. Scelte, quelle riguardanti l’allestimento della rosa, di cui Morgia si sta occupando solo marginalmente. “In questi giorni mi sono chiuso nell’ufficio del presidente a pianificare a 360 gradi. Sono venuto qui per la bontà del progetto globale. Quindi mi sto occupando di organizzare un po’ tutto quello ch’è il discorso logistico. Vedi impianti nei quali fare gli allenamenti o conoscere i tecnici ai quali affidare le varie squadre del settore giovanile. Puntiamo, infatti, quantomeno a partire con juniores, allievi e giovanissimi. La mia preoccupazione più grande è stata questa insomma. Il direttore sportivo, che ben conosce il mio pensiero, si sta invece occupando dell’approntamento della rosa calciatori. Il mio lavoro è diverso. Certo, posso dare qualche indicazione, ma non mi piace mai entrare nel lavoro degli altri. A tutti i miei collaboratori, che ho iniziato a conoscere in queste settimane, ho detto che non credo alla persona unica che decide su tutto. Ognuno deve avere il proprio ambito. Insomma, io sto scegliendo le figure tecniche, il direttore sportivo coloro che scenderanno materialmente in campo, con tutti gli oneri ed onori del caso (sorride ndr). Non mi piace parlare con i procuratori, né tanto meno di soldi. Starò dalla mattina alla sera sui campi, e se mi sarà possibile assisterò anche agli allenamenti dei classe 2007. Allenare ed educare sono le mie missioni”.
Una missione che l’allenatore residente ormai da tanti anni a Lucca sente come un dovere morale. “Provengo dai quartieri più malfamati di Roma: sono nato alla Garbatella, ho vissuto a San Paolo e giocato a Tor Marancia, confinante con la Magliana, zona dov’è nata la nota e omonima banda criminale, e l’ex ippodromo di Tor di Valle. Quindi il calcio mi ha letteralmente levato dalla strada. Ma mi hanno preservato soprattutto i compagni: vedendo che ero bravo non mi avrebbero mai perdonato qualora avessi iniziato a sbandare nella vita privata, tipo andare a rubare in qualche casa o fregare qualche stereo. A 18-19 anni ho poi iniziato a girare l’Italia come giocatore, e ciò mi ha portato definitivamente via da quell’ambiente pericoloso, a differenza di alcuni miei amici di allora che sono invece finiti a Regina Coeli o morti sulla strada. Proprio per questo mio vissuto, più passano gli anni e più sento come un mio dovere restituire qualcosa agli altri. Al sud in particolare, poi, la cosa più importante che il calcio può fare è levare quanti più ragazzini possibile dalla strada. Anche perché rispetto ad una volta non ci sono più gli oratori e per strada, soprattutto da Roma in su dove oramai il cemento ha coperto tutto, non ci sono più grandi spazi all’aperto. Il calcio deve ritornare ad essere uno strumento di crescita ed educazione per i ragazzi, ma anche per i loro genitori che spesso con i loro comportamenti non danno, loro stessi per primi, il buon esempio”.
Ferdinando Gaetano
© RIPRODUZIONE RISERVATA