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Il paese genera ormai la solitudine. Di solito è la città intesa come metropoli che crea la solitudine, invece ormai accade sempre più spesso che sia il piccolo centro a far vivere o sentire, a secondo di chi la ama o di chi la teme, la solitudine. Per Eugenio Borgna nel “La solitudine dell'anima”, molti sono i modi d'essere della solitudine e i suoi linguaggi. Poi, ritengo che ognuno di noi ne faccia e ne viva il suo stato, ma c’è anche chi la soffre. E a volte anche con un compagno la si sente.
Per Borgna c’è “la solitudine interiore come fonte di conoscenza di sé e meditazione ed è una solitudine creatrice e positiva in cui si cela una domanda di serenità e di speranza.” Nelle grandi metropoli basta entrare in un giro di amicizie sportive, culturali e non si sente più questo isolamento. Nei piccoli centri bisogna adattarsi, a volte sopportare le intolleranze degli altri per abbattere la solitudine. Non sempre e non tutti ci riescono. O peggio ancora bisogna recitare parti da attore per non far trapelare i propri dissapori. Quindi è meglio vivere la solitudine che ci fa conoscere noi stessi e frequentare conoscenti o convivere con l'altro che non tollera il nostro modo di essere? Ognuno risponde con lo stile di vita a questo interrogativo o magari se lo pone… Per Madre Teresa di Calcutta, la solitudine era la lebbra dell'Occidente.