Angina Pectoris

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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Domenica sera torno a casa dopo due giorni trascorsi in una nebulosa di affetto, emozione, bellezza, umanità, convivialità. A Castrovillari, Civita, Cerchiara, San Lorenzo Bellizzi, Santa Maria dell’Armi. Io che odio guidare l’auto, sono stato al volante per ore. Cala la sera. La ginestrina spinosa che corona il cancello di casa ha appena esposto i suoi fiori gialli, fluorescenti. E’ il saluto di bentornato. Il mio cuore è stanco. Troppe emozioni! Provo un senso di vertigine. Sembra che mi manchi il respiro. Sistemo i miei libri, gli zaini, la valigia, il computer portatile con una fatica infinita. Faccio la doccia come se volessi inondarmi. Seggo a tavola con un peso tra la pancia e il petto. Penso: “E’ venuta la mia ora”.

Mia figlia mi chiede “Che cos’hai papà?”. Attendo. Fermo il tempo. Poi, pian piano, il peso svanisce e mi lascia attonito, spossato. Comincio a pensare che debbo fermarmi. Fermare anche le emozioni. Quelle negative, innanzitutto: l’ansia del mio lavoro avvocatesco. Ma perfino quelle positive. Non credo che resisterò per molto tempo. Il mio cuore non reggerà. Ma il cuore è un organo o la sede di qualcosa di ineffabile? L’anima sta lì, dentro quel rizoma rosso che pulsa al centro del nostro corpo? E che i cardiochirurghi fingono di riparare. No, il cuore non si ripara. Se sei un cercatore di emozioni. No, la pressione sanguigna non scende, se conosci lo stupore. No, il cuore non guarisce se ti rimane la forza di indignarti o di emozionarti. Di emozioni si può morire. Ed è una buona morte. Quella che farò io. Nazim Hikmet, il grande poeta turco, comunista, imprigionato a lungo, esiliato, scrisse nel 1948 una poesia sul suo cuore malato, dal titolo “Angina pectoris”. E’ una lettera al suo medico.

“Se qui c’è la metà del mio cuore, dottore, / l’altra metà sta in Cina / nella lunga marcia verso il Fiume Giallo. / E poi ogni mattina, dottore, / ogni mattina all’alba / il mio cuore lo fucilano in Grecia. / E poi, quando i prigionieri cadono nel sonno / quando gli ultimi passi si allontanano / dall’infermieria / il mio cuore se ne va, dottore, va in una vecchia casa di legno, a Istambul. / E poi sono dieci anni, dottore, / che non ho niente in mano da offrire al mio popolo / niente altro che una mela / una mela rossa, il mio cuore. / E’ per tutto questo, dottore, / e non per l’arteriosclerosi, per la nicotina, per la prigione, / che ho quest’angina pectoris. / Guardo la notte attraverso le sbarre / e malgrado tutti questi muri / che mi pesano sul petto / il mio cuore batte con la stella più lontana”.

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