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I servi sciocchi delle procure, il flop della Trattativa come occasione giusta per mettere sotto processo larga parte del sistema mediatico: per capire cosa accade davvero da tanti anni in Italia e in Calabria sul fronte mass media-giustizia bisogna leggere il prof.Giovanni Fiandaca, un luminare del diritto penale italiano, un’autentica autorità indiscussa. Fiandaca – sul Foglio di alcune settimane fa – è partito da una constatazione: l’impianto argomentativo della sentenza assolutoria di Calogero Mannino smantella la costruzione accusatoria della cosiddetta trattativa stato-mafia. Ma il prof. Fiandaca prende solo spunto da questa sentenza per richiamare l’attenzione sull’atteggiamento del sistema mediatico rispetto al processo sulla Trattativa, che si è andato caratterizzando secondo movenze tali da confermare in maniera emblematica una relazione “gravemente patologica, una sorta di perversione sistemica, riscontrabile da qualche decennio nel contesto italiano: alludo, com’è facile intuire, alla relazione incestuosa tra buona parte dei media e gli uffici di procura”. Parole che sono pietre e che aprono finalmente – come è nel caso di Antimafia e lotta alla mafia di cui ci siamo occupati un paio di settimane fa su questo blog – una bella e sana discussione.
Dice infatti il prof. Fiandaca: “E’ un dato di fatto inconfutabile che il processo-trattativa costituisce una esemplificazione straordinaria di un processo inscenato nei media e potentemente alimentato da stampa e televisione, specie nelle sue fasi iniziali: con un bombardamento informativo continuo e drammatizzante, tendente ad assecondare come verità assodata ipotesi accusatorie ardite e basate (tanto più all’inizio) su teoremi storico politici preconcetti, affondanti le radici in ‘precomprensioni’ soggettive e – purtroppo – costruiti anche in vista del perseguimento di impropri obiettivi lato sensu carri eristici”. Certo è che senza la grancassa televisiva, fatta di acritico sostegno e di facile suggestione per il sensazionalismo complottistico, il processo sulla Trattativa non avrebbe avuto la stessa parvenza di legittimità e la stessa risonanza.
La conclusione – su cui molti dovrebbero riflettere nel mondo dell’informazione anche dalle nostre latitudini – è tremenda: recidere i mostruosi intrecci che da anni legano informazione e giustizia, e ciò sino al punto che hanno finito col riscuotere populistico credito organi di stampa pregiudizialmente vocati a operare come “gazzetta delle manette” (e sui quali, aggiungo incidentalmente, scrivono o rilasciano interviste anche illustri magistrati, senza peraltro porsi il problema se sia opportuno alimentare uno stile informativo che tiene programmaticamente in dispregio fondamentali garanzie costituzionali a tutela di ogni persona umana, indagati e imputati compresi). Detto in altre più semplici parole: sarebbe finalmente il caso di prendere spunto dal processo sulla Trattativa per processare larga parte del sistema mediatico; ma sarebbe, nel contempo, auspicabile che siano i giornalisti a fare autocritica e a processare se stessi. In vista di un recupero della funzione critica della stampa e della capacità di indagare autonomamente sui fatti, senza essere servi sciocchi o interessati delle iniziative non sempre ponderate delle procure’’.
C’è qualcuno in Calabria pronto a fare autocritica?